India e Bangladesh al Marconi-Hack

L’esperienza di due ragazze non italofone che frequentano l’Istituto

Attualmente, nella società nella quale viviamo, capita molto spesso di imbattersi in persone con una cultura differente. Persone che hanno dovuto abbandonare la loro terra d’origine, lasciando tutto, per venire in Italia in cerca di condizioni di vita migliori. 

Ci troviamo oggi con due ragazze frequentanti il nostro IISS Marconi-Hack. Una è Navjot, un’indiana quindicenne proveniente da Punjab, dal quartiere di Kulam Nawanshahr; l’altra è Oishe Jeris, sempre quindicenne, proveniente da Ramgonj Laxmipur, in Bangladesh.

Abbiamo parlato con loro e ci hanno raccontato il loro vissuto, e per quanto esso sia di ragazze appena quindicenni, risulta essere molto molto intenso. 

Quanti anni avevate quando siete giunte in Italia? E com’è stato per voi affrontare questo cambiamento? 

Oishe racconta che aveva 6 anni, frequentava la seconda elementare. “Mi sono trovata bene sin da subito. I compagni erano bravi e la maestra era molto gentile con me”; penso però che questo sia dovuto anche al fatto che eravamo molto piccoli, ed era difficile che dei bambini non volessero stare con me. A quell’età i bambini non tendono a fare distinzioni o a escludere qualche loro simile”.

Navjot dice invece che aveva circa 12 anni, si è trasferita qui proprio all’inizio della prima media. “Quando sono arrivata in Italia, e ho conosciuto la mia nuova classe, non sono stata molto ben accolta. Non sapevo parlare benissimo in italiano e questo ha rappresentato un problema molto grande. I miei compagni non mi aiutavano, non capivano le mie difficoltà e per questo all’inizio non mi sono sentita molto inclusa”.

Com’è stato per voi integrarvi, soprattutto da un punto di vista linguistico?

La ragazza bangladese dice di non aver avuto particolari problemi. Essendo arrivata nel nostro Paese quando era piuttosto piccola, ha seguito il percorso di apprendimento della lingua italiana e della sua grammatica in maniera parallela a quella degli altri studenti. 

Il percorso di Navjot, invece, essendo giunta qui più tardi, è stato un po’ più complesso. “Ho ripetuto la prima media due volte. La prima non è andata bene, perchè mi risultava davvero difficile studiare in una lingua che non era la mia. La seconda, invece, è stata un’altra cosa, e i compagni sono stati più inclusivi”

Com’è stato apprendere l’italiano? 

Navjot dice: “Durante alcune ore di italiano, andavo in un’altra classe e seguivo un corso a parte, finalizzato al potenziamento di questa lingua. Siamo partiti da un livello base, che poi negli anni è andato aumentando sempre più”.

Entrambe le adolescenti hanno detto che hanno riscontrato non poche difficoltà, e tutt’ora ne hanno alcune. L’italiano differisce molto dai loro idiomi originari, ma loro sono molto determinate, e ogni settimana fanno progressi.

Riguardo alla nostra moda, cosa avete da dire?

Tutte e due concordano sul fatto che la moda italiana sia molto bella e affascinante. Ovviamente, però, sono molto legate ai loro vestiti tradizionali.

Navjot ci ha parlato di come ci si veste in India: gli uomini indossano una specie di camicie, lunghe fino alle ginocchia (note come Kurta Pajama), mentre le donne portano i classici vestiti lunghi, ricamati con gli ornamenti tipici del luogo (Punjabi Suit).

Da quando siete arrivate in Italia, siete mai tornate nei vostri Paesi?

“Sono tornata in Bangladesh solo 2 volte, non è molto semplice. Mi manca”- afferma Oishe. Navjot dice invece che da quando si trova qui non è mai tornata in India, poichè non è trascorso tanto tempo dal suo arrivo a Bari, ma sente fortemente la mancanza del suo paese.

Quali sono stati i motivi che vi hanno costretto ad affrontare questo grande cambiamento?

Entrambe le ragazze hanno affermato che il loro viaggio è stato la conseguenza di alcune proposte lavorative per i loro genitori, che hanno trovato proprio in Italia degli impieghi (nello specifico, in una kebabberia e in un’azienda di produzione di olio d’oliva). Hanno affermato anche questo: “Abbiamo preferito poter studiare qui per poter avere, terminati gli studi, maggiori possibilità di inserirci nel mondo del lavoro”.

A questo proposito, cosa vorreste fare da grandi?

“Quando ero più piccola volevo essere un’astronauta. Adesso penso che vorrei essere un software devolver” afferma Oishe.

Navjot dice : “Io invece vorrei diventare un’agente di polizia”

Sappiamo tutti che ci sono delle nette differenze culturali tra i vostri Paesi e il nostro. Come vivete questa “diversità”?

Oishe dice: “Vivere tutto questo è un po’ particolare. La nostra lingua e la nostra cultura è proprio diversa dalla vostra. Quando sono arrivata qui, nonostante fossi piuttosto piccola, è stato parecchio difficile apprendere le nuove usanze, le nuove caratteristiche, il nuovo stile di vita. Ma adesso sta andando meglio”.

Anche Navjot afferma lo stesso, aggiungendo: “Vivere un’esperienza del genere è un po’ come dover imparare a vivere una seconda volta. Ma niente è difficile, se lo vogliamo veramente”.

Quest’ultima frase è il loro spirito-guida, ed è con questa che le due ragazze ci lasciano.

Navjot e Oishe dimostrano di avere una grande determinazione, oltre che una voglia sconfinata di integrarsi, di imparare la nuova lingua e di poter raggiungere i propri sogni.

Angelo Pappalardo (Liceo delle Scienze Applicate Margherita Hack)

Condividi l'articolo: