Un piccolo ciuffo fuori dal velo …

Dalla “ciocchettina nera” che sfugge sotto il velo della monaca di Monza all’hijab indossato in modo sbagliato in Iran perchè troppo allentato sono passati secoli. O forse no.

Ricordiamo tutti con sdegno e orrore quel 16 settembre dello scorso anno in cui, dopo tre giorni di coma, è morta la povera Mahsa Amini, arrestata e pestata a morte dalla polizia solo per aver indossato in maniera inappropriata il velo: una sorta di punizione esemplare per tutte le donne iraniane che non rispettano le regole imposte dal governo, una dittatura che regna con il terrore, calpesta i diritti di tutti coloro a cui la paura non fa più paura e che perciò dissentono. O per lo meno provano a farlo, a costo della propria vita.

Nonostante l’indignazione generale dell’opinione pubblica e la condanna mediatica che si è guadagnata da ogni parte del mondo, la dittatura iraniana ha allora ribadito l’ordine alla polizia di punire con durezza e arrestare chi non avesse rispettato la legge sul velo. Le donne in Iran perciò continuano ancora oggi a coprirsi il capo e se provano a protestare per solidarietà con Mahsa e per difendere la loro libertà cadranno come foglie morte.

Il ciuffo nero che sfugge al copricapo caratterizza anche la descrizione di un personaggio letterario come Gertrude, ai più meglio nota come la monaca di Monza del famoso romanzo di Alessandro Manzoni. Ebbene, Gertrude, costretta dal padre a prendere i voti per non far disperdere tra i figli il patrimonio di famiglia, destinato secondo le regole del tempo al solo primogenito, ne I “Promessi Sposi” viene descritta con una ciocca di capelli lasciata uscire dalla cuffia come segno di protesta: sebbene prigioniera negli abiti da monaca, Gertrude nell’animo continuava infatti a ribellarsi al suo destino.

Fa riflettere il fatto che, nonostante la diversità dei momenti storici e dei contesti sociali, il ciuffo che sfugge dal copricapo sia avvertito come atteggiamento di ribellione. Nella monaca di Monza esprime la mancanza di rispetto e condivisione delle regole “del capello corto” e, più in generale, la mancanza di rispetto delle regole imposte dalla chiesa per le suore e verso una scelta di vita decisa da un padre-padrone. Anche per Mahsa il ciuffo fuori dal copricapo rappresenta una mancata condivisione di regole di vita imposte dal governo e svilenti la figura della donna.

Naturalmente il comportamento di Mahsa è molto più coraggioso e significativo perché, differentemente dal personaggio manzoniano, lei paga con la vita la protesta che è peraltro contro regole ritenute intollerabili e contrarie alla dignità umana oltre che per se stessa anche per ogni donna del suo tempo.

Luca Masanotti

Ho 10 anni e voglio il divorzio!

Quando la scuola offre emozioni…

Giovedì 9 Marzo 2023, le classi 3ªD, 3ªH e 3ªE hanno avuto la fortuna di assistere al toccante spettacolo “Ho 10 anni e voglio il divorzio” messo in scena dall’Accademia Oltrepalco – Ricerche Teatrali d Bari.

Il testo teatrale è ispirato ad una delle tante vicende che realmente accadono in alcuni paesi il cui governo non tutela i diritti dei cittadini e soprattutto quelli delle donne.

La protagonista è Nojoud Ali, una ragazza di 10 anni, nata nello Yemen e data in sposa per volere del padre a un uomo di 30 anni. Il marito, diventato il suo nuovo padrone, decide per lei, la picchia, la costringe ad avere rapporti sessuali, la tratta come una schiava, tutto con la complicità dei propri genitori. Passano i mesi. Nojoud piange, vuole rivedere la sua famiglia, ma non può farlo, perché è come prigioniera del marito, che un giorno, tuttavia, le concede inaspettatamente il permesso di ritornare nella casa paterna per qualche ora. La povera Nojoud chiede allora ai suoi di proteggerla e di non farla tornare dal marito, ma loro si rifiutano. Chiede, quindi, aiuto alla seconda moglie del padre, Dowla, che la incoraggia e le dice di andare in tribunale. Nojoud si fa forza, segue il consiglio di Dowla e si avvia, tutta sola, avvolta nel suo velo, verso il tribunale della sua città. Lì trova chi ascolta la sua storia e decide di aiutarla: Shatha Muhammed Nasser, il suo avvocato, la assiste gratuitamente, le fa vincere la causa e la rende finalmente una donna libera!

Gli attori, per quanto giovanissimi, sono stati molto bravi a rappresentare una storia così forte, sul piano del coinvolgimento emotivo, e toccante, per la problematica sociale affrontata, stimolando in noi riflessioni molto profonde. Abbiamo capito quanto siamo fortunati a vivere in un contesto sociale “normale”, mentre altrove, neanche troppo lontano da noi, per denaro le famiglie sono a volte costrette a vendere le proprie figlie.

Abbiamo trovato anche utile il dibattito che è seguito alla rappresentazione, durante il quale, oltre che sulla storia rappresentata, abbiamo posto ai ragazzi della compagnia diverse domande, anche di tipo personale. È emerso, per esempio, che la maggior parte di loro ha iniziato a seguire corsi di teatro in età scolare, dopo aver partecipato a PON a scuola o semplicemente su consiglio dei genitori. Quanto alla scelta dei testi da interpretare sul palcoscenico, abbiamo chiesto se mai qualcuno, di fronte al tema della “sposa bambina” , abbia avuto perplessità o dubbi. È emerso che tutti erano stati subito d’accordo con la loro insegnante e regista, credendo nella funzione del teatro che, attraverso un linguaggio chiaro e diretto, permette di un diffondere importanti messaggi, anche poco espliciti.

Beatrice Stallone e Luca Masanotti