“NON CHIAMATELI EROI”: INCONTRO CON LO SCRITTORE ANTONIO NICASO

Quest’anno all’interno del progetto lettura il 22 marzo noi ragazzi delle classi terze abbiamo avuto l’onore di incontrare, anche se solo in modalità on line, Antonio Nicaso, giornalista e insegnante di storia sociale della criminalità organizzata della Queen’s University in Canada, e insieme al magistrato Nicola Gratteri coautore del libro “Non chiamateli” che abbiamo letto e analizzato in questi mesi.

Il confronto con lui ci ha permesso di conoscere la sua esperienza di vita e di confrontare le nostre riflessioni sulla legalità e sulla situazione italiana.

Nicaso ha scritto tantissimi saggi, sul tema della criminalità. La sua passione per i libri è nata grazie al suo professore delle scuole superiori, che gli diceva che scriveva dei testi bellissimi e lo ha spronato a coltivare questo talento. Così pur in un piccolo paese dove i libri e le biblioteche erano poche, ha curato il suo percorso facendogli conoscere testi diversi e di vario genere, per alimentare la sua vocazione. Antonio da quel momento ha sempre valorizzato il lavoro del suo mentore, che gli ha indicato una nuova prospettiva. E dalla sua lunga esperienza ha affermato che per saper scrivere bene, fondamentale è la lettura, che ci permette anche di viaggiare in mondi immaginari pur restando nel letto della nostra cameretta.

Di solito le persone che scelgono di fare lavori fuori dal comune, come il cantante, il pittore o lo scrittore, non vengono supportate dai parenti, perché i loro sogni sembrano impossibili da raggiungere e poco proficui. Questo non è il caso del nostro autore. Infatti nel suo cammino adolescenziale fondamentale è stata la madre, che lo ha sempre sostenuto nel suo percorso e non lo ha mai giudicato. Il suo papà era morto quando Nicaso aveva solo quattro anni, però, nonostante ciò, il ragazzo è andato avanti e ha superato i problemi insieme alla mamma e alle sorelle.

Una vicenda della sua vita che ci ha colpito particolarmente è accaduta durante la scuola, in provincia di Reggio Calabria. Il padre di un suo compagno di classe è stato ucciso perché non voleva pagare il “pizzo” e così sin da piccolo (aveva solo sei anni e mezzo) Antonio ha amaramente scoperto che la criminalità era vicina ed era qualcosa che “toglieva il sorriso” a chi gli stava accanto. Inoltre in quel periodo la gente aveva problemi economici e quindi molti ragazzi, dopo aver abbandonato gli studi, si univano alla ‘ndrangheta, distruggendo i rapporti con i compagni e la famiglia. Eppure in quel contesto alcuni studenti, come Nicaso, hanno avuto il coraggio e la determinazione di scegliere la via dell’onestà e alcuni di loro si sono dedicati alla giustizia perseguendo la professione di giornalista o magistrato, e osservando il fenomeno anche in un’ottica internazionale.

All’età di ventinove anni, dopo essersi laureato, per necessità si è dovuto trasferire in Canada, ambiente in cui si è inizialmente sentito completamente estraneo soprattutto per la diversa lingua che non gli permetteva di interagire con gli altri. Per questo ritiene una fortuna e una risorsa che il capitale umano nato e formatosi in Italia possa continuare a rimanere nel proprio paese per migliorarlo, come il suo amico Gratteri. Il rapporto con il magistrato è nato quando erano piccoli, quando condividevano l’amore per la terra d’origine, gli interessi comuni e la condizione sociale e, come ci ha rivelato, “quando avevano uno i soldi sufficienti per comprare la pizza e l’altro quelli per comprare la Coca-cola”. E dalla loro amicizia è scaturita la collaborazione professionale.

Sollecitato dalle nostre domande l’autore ha espresso chiaramente che la criminalità più diffusa e potente a livello internazionale è la ‘ndrangheta e che non ha l’immagine “fascinosa” e stereotipata espressa dal cinema o dalle fiction, ma è un fenomeno diffuso e brutale che possiamo imparare a riconoscere con lo studio e la lettura dei libri. La reazione dello Stato nei confronti della criminalità organizzata è stata ed è molto importante e utile, ma occorre un approccio più severo e radicale, sul campo. Molti magistrati, come Giovanni Falcone, hanno contribuito al massimo delle loro capacità, e soprattutto con efficacia, all’affermazione della giustizia nella nostra nazione. Ma non basta. Secondo lui la politica e ancor di più la cultura dell’antimafia diffusa nel territorio possono giocare un ruolo fondamentale nel contrastare l’illegalità e la mentalità mafiosa, perché possono creare uno scudo reale e saldo. Proprio in quest’ottica è nata l’idea di scrivere “Non chiamateli eroi” in questo particolare momento storico.

L’opera scritta a quattro mani con Gratteri può essere considerata un manifesto di coraggio e forza, i cui protagonisti sono le vittime di mafia. Trent’anni dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino, proprio i due magistrati che non volevano essere chiamati eroi e a cui è ispirato il titolo, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso dipingono le vite di coloro che, senza avere paura, hanno difeso con coraggio e professionalità i propri ideali fino alla morte.

Nel libro, infatti, si susseguono ritratti di uomini, donne e bambini accomunati tutti dalla sete di giustizia e libertà. Ognuno di loro ha lasciato nel cuore emozioni scritte con l’inchiostro: Giuseppe Letizia, Giuseppe di Matteo, Nicola detto Cocò Campolongo, vittime innocenti, brutalmente assassinate; Gelsomina Verde, Annalisa Durante, donne nel posto sbagliato al momento sbagliato, Lea Garofalo madre che sogna per la figlia una vita lontana dalla ‘ndrangheta; l’imprenditore tessile Libero Grassi, il mugnaio Rocco Gatto, lavoratori onesti che non hanno mai piegato la testa; Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli, magistrati, avvocati, uomini che hanno fatto della lotta alla mafia il loro mestiere e il loro motivo di vita. Figure note e meno note, persone comuni che, eroicamente, hanno detto “No” alla criminalità organizzata e hanno dato il loro contributo per una società migliore.

I personaggi descritti ci inducono a riflettere su quanto sia importante combattere l’indifferenza e l’omertà e fare fronte comune contro la Mafia e le ingiustizie. I sacrifici e i sogni che emergono dai protagonisti sono un modo per non dimenticare e per ricordare che “si può fare qualcosa, e se ognuno lo fa, allora si può fare molto”.

La Sicilia e la Calabria fanno da scenario alle atrocità di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta, ma l’opera ci ricorda che la mafia può essere dappertutto, ovunque ci siano prepotenze, ingiustizie, sete di potere e omertà. La mafia è al lavoro, nella pubblica amministrazione, tra le vie delle città e anche nelle famiglie e non ha pietà neanche per chi è innocente o indifeso. Per questo è importante far conoscere questa realtà a tutti i cittadini, a partire dalle nuove generazioni, perché possano essere in grado di affrontarla con coraggio, rompendo il silenzio.

Le parole sono pietre. Usiamole per costruire ponti, per unire le coscienze di chi non sopporta più la tirannide delle mafie, l’ipocrisia di chi dovrebbe combatterle e le menzogne di chi continua a girarsi dall’altra parte”.

Proprio con le loro parole semplici e dirette i due scrittori arrivano a noi ragazzi e toccano le nostre coscienze, mostrandoci un mondo che sembra frutto di una fantasia macabra e brutale, che ci indigna, ma anche la forza e il coraggio dei “non eroi” che ci spinge a intervenire perchè “La memoria del loro sacrificio deve spingere ad impegnarsi per costruire un Paese veramente libero dalla paura, dal bisogno, ma soprattutto dal condizionamento mafioso”.

E’ stata decisamente un’esperienza che ricorderemo.

Emily Bevilacqua, Giovanni Decaro,

Annalisa Di Maso, Mario Panzarino

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