Costruiamo ponti, abbattiamo i muri

“L’uomo costruisce ponti ed erige muri”: questa frase mi fa pensare, in senso figurato, a due azioni opposte che l’uomo compie da sempre. Da una parte l’uomo si sforza di “costruire ponti“ per unire popolazioni e culture diverse e per permettere uno scambio di tradizioni, dall’altra parte l’uomo si ritrova a “erigere muri” per separare popoli e probabilmente per allontanare chi considera diverso. Io penso che il motivo principale per cui l’uomo, nella storia, ha costruito tanti muri è la paura di chi è diverso, di chi può essere più forte, di chi può diventare per noi una minaccia. Facendo riferimento a ciò che abbiamo studiato in geografia, ho potuto notare che in alcuni stati coesistono felicemente diverse minoranze e comunità provenienti da altre parti del mondo, mentre in altri Stati l’immigrazione è meno diffusa a causa dei governi che vietano l’ingresso di popolazioni lontane: questi divieti sono la rappresentazione di come l’uomo, attualmente, ”erige muri”.

Nel mio mondo ideale, non ci sarebbero confini, ma solo ponti che permettono scambi culturali e conoscenza di tradizioni lontane e diverse dalle mie.

Sin dalla storia più antica, abbiamo assistito a popolazioni che, per desiderio di potere, cominciavano guerre per sottomettere gli Stati vicini, annientando la loro cultura, le loro tradizioni, la loro lingua, per affermare il proprio predominio e rendere meno potenti popoli che potrebbero costituire una minaccia.

Arrivando alla storia più recente, l’esempio più noto di muro utilizzato per separare popoli è stato il muro di Berlino, eretto nel 1961, dopo la fine della seconda guerra mondiale, costruito per dividere Berlino est da Berlino ovest.

Fu abbattuto nel 1989, dopo anni di rivolta, di sofferenza e di famiglie letteralmente separate da un muro altissimo, foto di odio più che di mattoni. A mio parere, la costruzione del muro di Berlino è stata un’atroce ingiustizia per chi si è trovato a vivere in quelle condizioni.

Nel futuro, spero che l’uomo preferisca sempre più costruire ponti anziché muri, perché non c’è niente di più bello della condivisione, della scoperta e della libertà.

Federico Punzi

Una donna coraggiosa… del Seicento!

Artemisia Gentileschi era una pittrice del ‘600 molto dotata, che però la gente non apprezzava semplicemente perchè era una donna.

Il padre, accortosi del suo talento, decise di farle seguire un corso da un pittore di nome Agostino, che si innamorò di lei e si ripromise che prima o poi l’avrebbe sposata, anche se la ragazza rifiutava sempre.

A seguito degli infiniti rifiuti, la situazione peggiorò a tal punto che Agostino cominciò a violentarla, finché Artemisia non riferì tutto al padre Orazio.

I due denunciarono il pittore, ma non riuscirono a vincere il processo contro di lui, che fu umiliante per Artemisia pur non indebolendo il suo fortissimo carattere.

Per comprendere meglio la bravura di Artemisia è indispensabile ammirare i suoi splendidi quadri.

Le sue opere rispecchiano il suo carattere: a quei tempi, in una società dominata dal maschilismo, diventare una donna di successo nel mondo dell’arte era un’impresa davvero ardua che richiedeva coraggio, determinazione, forza di volontà, intraprendenza e un pizzico di follia.

Basta osservare una delle sue opere più famose, Giuditta che decapita Oloferne, per ritrovare l’indole indomita di questa donna eccezionale.

Il quadro, che è abbastanza cruento, fu realizzato dopo il processo contro Agostino ed esprime lo stato d’animo di Artemisia: “Dio lo ha colpito per mano di donna”, furono le parole della Bibbia a cui sicuramente si ispirò nel dipingerlo.

La storia di Artemisia ci insegna che una donna è libera di fare ciò che vuole, di sposarsi o meno, e non deve essere condizionata dal volere di un uomo che si crede superiore.

Dobbiamo sempre ricordare che la donna e l’uomo si equivalgono e hanno uguale importanza. Dobbiamo sempre ricordare queste meravigliose parole tratte dal Talmud ebraico:

La donna è uscita dalla costola dell’uomo,
non dai piedi perché dovesse essere calpestata,
né dalla testa per essere superiore,
ma dal fianco, per essere uguale.

Un po’ più in basso del braccio, per essere protetta.
Dal lato del cuore, per essere amata
.

Greta Vincenti e Arianna Agostinelli

Bari salvata da cinque ragazzini durante la Seconda Guerra Mondiale

Lo sapevate che a salvare Bari vecchia dall’attacco tedesco ci furono anche cinque tredicenni?

Durante l’incontro con Michele Mancini, intervenuto in via telematica, presso la Sala Consiliare del Comune di Bari, abbiamo potuto apprendere come si è svolta questa vicenda. Se non fosse stato per loro, i cinque ragazzini tra cui il sig. Mancini, unico ancora in vita, probabilmente Bari Vecchia, con la nostra basilica di San Nicola, sarebbe stata distrutta dai nazisti.

Il giorno dopo l’Armistizio, il 9 settembre 1943, Bari era in preda al panico, tutti cercavano di mettersi al riparo dai tedeschi che con i loro carri armati volevano fare irruzione nel centro storico e distruggere la basilica di San Nicola.

Questi cinque ragazzi vollero dare il loro contributo per salvare la città contrastando con le bombe a mano i carri armati tedeschi: uno di questi esplose proprio davanti all’arco che conduce a San Nicola grazie a una bomba lanciata da Michele Romito.

L’evento durante il quale abbiamo appreso, tra le altre, questa bellissima storia di resistenza, è stato organizzato dall’ANPI (associazione nazionale partigiani italiani) provinciale, in collaborazione con la libreria Svoltastorie e con il patrocinio del Comune di Bari, ed è stato anche l’occasione per presentare il libro di Lucia Vaccarino e Stefano Garzaro “O bella ciao. Racconti di ragazze e ragazzi nella Resistenza” edito da Il Battello a Vapore-Piemme.

Questa esperienza ha fatto comprendere a noi ragazzi che nulla ci è dovuto e soprattutto che non si è mai troppo piccoli per lasciare un segno nella storia.

Giulia Della Marca

Viva San Nicola dei baresi

Conoscete la storia di San Nicola, il patrono di Bari?

San Nicola è nato a Patara (Turchia) il 15 marzo dell’anno 270 e in età adulta si è trasferito a Myra per diventare sacerdote; nel medioevo è stato uno dei santi più popolari, soprattutto per i suoi miracoli a vantaggio di poveri e defraudati.

Tra le leggende che lo riguardano, una narra che, venuto a conoscenza del fatto che un ricco signore decaduto voleva far prostituire  le sue tre figlie per reperire la dote e maritarle, egli abbia lasciato alle fanciulle, per tre notti consecutive, un panno con all’interno delle monete d’oro per la dote. Questa è la ragione per la quale viene raffigurato o con tre sfere d’oro o con tre sacchetti!

Un’altra leggenda, anch’essa legata anche all’iconografia del santo, racconta che Nicola, già vescovo, resuscitò tre bambini che un macellaio malvagio aveva ucciso e messo sotto sale per venderne la carne.

È morto il 6 dicembre del 343 e le sue reliquie sono rimaste nella cattedrale di Myra fino al 1087, quando, essendo la città stata conquistata dai musulmani, Venezia e Bari entrarono in competizione per impossessarsi delle reliquie del santo e portarle in Occidente.

Secondo la tradizione, il 9 maggio del 1087, un gruppo di sessantadue marinai baresi avrebbe organizzato una spedizione per mare e sarebbe riuscito a sottrarre le ossa di San Nicola e a portarle a Bari, dove furono affidate temporaneamente a un monastero benedettino e, successivamente, trasferite  nella cripta di una nuova chiesa dedicata al santo: la Basilica di san Nicola.

Dal 7 al 9 maggio, ogni anno, Bari festeggia, dunque, il suo patrono San Nicola con eventi di natura culturale e religiosa.

La sera del 7 maggio si svolge la rievocazione della Traslazione attraverso il Corteo Storico, durante il quale viene ricordata l’impresa dei marinai baresi che hanno cambiato il volto e il destino della città di Bari.

La mattina dell’ 8 maggio, invece, “Sanda Necole- come dicono i baresi- va pe mare”: la statua del santo varca le soglie del portale centrale della basilica per uscire, incontrare i cittadini, prima nella zona del porto e poi per le vie principali della città.

La sera dell’otto c’è una grande festa, bancarelle con ogni genere di cose belle, dai vestiti ai panini, al profumo delle sgagliozze fino al fumo delle carni arrostite: ci sono sempre tanti turisti e il divertimento dura fino a tarda sera, quando il cielo si illumina di spettacolari Fuochi d’artificio.

Il 9 maggio, invece, si fa memoria del 1087 e dell’audacia di quei 62 marinai che consegnarono a Bari il suo tesoro più bello, infatti, questa è la giornata chiamata dal popolo barese “LA FESTA DEI BARESI”. In onore di ciò, la sera si continua a far festa con una degna e fantasmagorica gara pirotecnica, dal molo Sant’ Antonio, che illumina il cielo della bellissima Bari!!!!!

Infine, c’è la concelebrazione eucaristica solenne, un momento di grande comunione per noi cristiani.

Vi ho parlato della festa del Santo patrono che si svolge a maggio, ma, il 6 dicembre si ricorda il Santo per il miracolo delle tre fanciulle e così si è diffuso in Europa l’uso dello  scambio dei  doni nel giorno del santo (6 dicembre). Durante la notte tra il 5 e il 6 dicembre, San Nicola (detto anche Santa Klaus) porta dolci e doni ai bambini che in cambio lasciano qualcosa da bere o da mangiare; in alcuni paesi i bambini  si svegliano con una mela rossa sul cuscino,  in altri san Nicola porta i regali ai bambini buoni. Ecco perché San Nicola viene raffigurato come Babbo Natale.

La mattina del 6 dicembre, nella nostra cara città, all’alba, nella Basilica di San Nicola, piena di fedeli, dopo la santa messa, viene servita una fumante tazza di cioccolata calda.

Vittoria Selvaggiuolo

Scegliamo di “prendere parte”! Buon 25 aprile

“I partigiani non sono eroi, hanno solo scelto da che parte stare: la cosa importante è scegliere”, queste sono state le parole di Michele Mancini, ex partigiano che, da dodicenne, ha salvato Bari dall’occupazione tedesca, nel 1943.

Il 19 aprile, nella Sala Consiliare del Comune di Bari, abbiamo avuto il piacere di assistere ad una discussione riguardante il libro di Lucia Vaccarino e Stefano Garzaro “O bella ciao”. Tra le pagine di questa raccolta di storie partigiane spesso poco note, troviamo anche quella di Michele Mancini.

Con un suggestivo discorso, che ha provocato la commozione dello stesso ex partigiano, ci è stata raccontata la situazione di Bari nei giorni subito precedenti e subito successivi all’armistizio dell’8 settembre tra Germania ed Italia: il generale Bellomo, allora garante della sicurezza della città, richiese l’aiuto di tutti i baresi per la difesa del porto, dove si pensava stessero per sbarcare i tedeschi. Quella stessa mattina, cinque ragazzi incontrarono un gruppo di Alpini che affidarono loro la sorveglianza dell’arco di Viale Venezia, ritenendolo un luogo tranquillo, tale da poter essere messo “nelle mani” di dodicenni.

Proprio da lì, inaspettatamente, i tedeschi tentarono, però, di addentrarsi nella città: Michele Mancini, senza pensarci due volte, insieme agli altri ragazzi, scagliò delle bombe a mano contro i carro armati degli invasori: questo gesto viene ancora oggi ricordato come una tra le prime forme di Resistenza in Italia.

Dopo la guerra  Michele Mancini si trasferì in Valle d’Aosta e la sua impresa venne quasi dimenticata; quando tornò a Bari, ormai adulto, si sentì in dovere di portare la sua testimonianza nelle scuole e quindi di renderla pubblica.

Oltre alla presenza fisica di Lucia Vaccarino e a quella di Michele Mancini, in collegamento online, hanno partecipato all’incontro anche diversi esponenti dell’A.N.P.I (Associazione Nazionale Partigiani italiani), che ci hanno parlato del concetto di “staffetta antifascista” e dell’etimologia della parola “partigiano”.

Anche se attualmente non corriamo rischi concreti di ricadere nel fascismo, è importante che la memoria della Resistenza venga tramandata, come in una staffetta, tra le generazioni, affinché conservando il ricordo di ciò che è accaduto, non rischiamo di tornare vittime di un regime. Quanto alla parola partigiano, questa deriva dall’idea del “prendere parte”, che è ciò che ciascuno di noi, sempre, deve fare per essere davvero un cittadino degno di questo nome.

L’A.N.P.I, sfortunatamente, andando avanti col tempo vede i suoi componenti diminuire di numero, in quanto troppo spesso si vede la lotta al fascismo come un argomento lontano dalla vita del cittadino, anche se la nostra stessa repubblica, tra i suoi principi portanti, ha proprio quello dell’antifascismo.

Dunque se qualcuno volesse “prendere parte” alleghiamo il sito ufficiale dell’A.N.P.I: https://www.anpi.it/

Nel frattempo, buon 25 aprile a tutti!

Rebecca  Albrizio

Ivan Carlucci

I riti della Settimana Santa a Noicattaro: una meraviglia antica a due passi dalla città

La storia

Il paese, con i suoi circa 25.000 abitanti, si trova a 16 km a sud est da Bari, ai piedi della Bassa Murgia e a 100 metri sul livello del mare da cui dista all’incirca otto chilometri.

Il territorio è tagliato da due grandi lame: Lama Giotta e Lama San Giorgio.

Il primo nome del Paese, documentato nel X secolo d.C., è Noa, ma ben presto, nella grafia ufficiale diventa Noja, da cui il nome dei Nojani ancora in uso per i suoi abitanti.

Nel 1862 il Consiglio Comunale decide di cambiare il nome di Noja in Noicattaro, prestando fede ad una presunta antica tradizione locale, che voleva il paese fondato da una colonia di profughi di Cattaro insediatasi sulla costa Nojana di Torre Pelosa.

I riti della Settimana Santa

I riti della settimana Santa Nojana presentano i segni della religiosità medievale e si possono mettere in relazione al movimento dei “flagellanti”, o “battuti”, che dall’Umbria e dalla Toscana si diffusero anche nelle regioni meridionali.

Non ci sono testimonianze storiche precise che possano avvalorare questa ipotesi.

Probabilmente Benedetto degli Acciaioli de Florentia, divenuto Conte di Noja nel 1320, avrebbe introdotto a Noicattaro riti e usanze della natia Firenze, fondando anche una Congregazione in una chiesa oggi demolita.

In questi riti sono evidenti la teatralità è la fastosità delle processioni, le movenze dei portatori di statue, l’intento di espiazione individuale e collettiva, la partecipazione corale della popolazione nei vari ruoli.

Durante la dominazione spagnola e soprattutto nel XVII secolola Settimana Santa  Nojana cominciò ad avere tutta quella ricchezza rituale che è arrivata fino aigiorni nostri.

La sede dell’Arciconfraternita della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo è la chiesa della Madonna della Lama, in cui si organizzano tutti i riti della Settimana Santa.

Le processioni

Al passaggio del primo crocifero il paese si illumina del riverbero di ceri votivi rossi.

Ogni porta, ogni finestra esprime con il guizzare di tante fiammelle la partecipazione delle case al Mesto cerimoniale.

Spenta la pubblica illuminazione, le strade, gli archi, i campanili antichi assumono toni gravi e solenni.

La “Naca” (parola che nel gergo paesano indica la culla) è il sarcofago di Cristo, che si muove nel silenzio interrotto dallo strascico delle catene degli ottantacinque Crociferi e dalle preghiere delle donne che seguono la lunghissima processione.

Il momento di più intensa suggestione si crea quando,appena qualche ora dopo le due di notte, l’Addolorata portata ad altezza d’uomo “cerca il Figlio”. Viene seguitada un mare di folla di fedeli. L’onore di accompagnare la Madre Dolorosa è concesso solo a trentatré Crociferi tanti quanti gli anni di Cristo.

La terza processione viene detta dei Misteri, perché rappresenta i personaggi e le tappe della Via Crucis: si snoda, solenne, nel primo pomeriggio del Sabato.

E’ la più faticosa, specialmente per i Crociferi che, nelle lunghe soste, reggono la croce, senza poterla mai appoggiare. Al rientro di queste statue nelle loro teche, dagli altari si rimuovono i panni funebri e si accendono le torce in preparazione al “Gloria”.

Il Crocifero

Il Falò, costituito da un’enorme catasta di legno (offerta dai contadini), si accende nello spiazzo antistante la chiesa della Madonna della Lama, alle ore 20:00 del Giovedì Santo. Questo rito ricorda San Pietro mentre, fuori dal Pretorio, rinnega il suo Signore. Un drappo funebre di velluto nero e frangia dorata viene esposto nella piazza, un tamburo con lugubre cadenza annuncia la condanna a morte.

A questo punto il Crocifero, figura emblematica della Settimana Santa Nojana, veste un saio nero, con un cappuccio si copre il volto e il capo, porta una corona di spine, trascina al piede scalzo una catena di ferro, prende sulle spalle una pesante Croce di legno.

Esce dalla Chiesa della Madonna della Lama nel buio della sera: a differenza degli altri,che dopo di lui, ad uno ad uno intraprenderanno per l’intera nottata del Giovedì santo la faticosa penitenza per il precetto Pasquale,egli è circondato da una folla di ragazzi con le fiaccole e “i trozzue” (raganelle di legno). Il fracasso rievoca lo scherno al quale fu sottoposto Gesù.

Nel più rigoroso silenzio, va di chiesa in chiesa. Sul portale, ad ogni sosta, depone il suo grave fardello per essere libero di flagellarsi con la catena che gli ha impacciato il passo ed ha torturato la caviglia. Attraversa in ginocchio la navata centrale, fino all’altare, dove l’Ostia, chiusa nel Ciborio, celebra l’istituzione dell’Eucarestia, “u S-bbulcr” (il Sepolcro) si diceva anticamente.

Segue un’intervista a Cristiano Marti, fondatore della “Giazira scritture” (casa editrice Nojana),giornalista e scrittore che si occupa di editoria e marketing editoriale, grazie al quale ho potuto scrivere questo articolo e che gentilmente mi ha donato il suo libro “La Settimana Santa a Noicattaro Voci e immagini!” edito dalla Giazira Scritture. Il libro contiene, oltre ad interviste di Cristiano Marti, anche delle suggestive immagini in bianco e nero scattate dal fotografo Nico Lozupone (autore di reportage in giro per il Mondo) .

I suoi racconti, le sue esperienze e gli aneddoti che mi ha trasferito hanno fatto comprendere al meglio questa tradizione che, con il tempo, sta assumendo notorietà anche al difuori dei confini nazionali.

Gli anni scorsi ho potuto assistere un paio di volte a tutti i riti della Settimana Santa Nojana.Un consiglio per i lettori è quello di prendere parte a questa esperienza sia in termini religiosi sia per conoscere le tradizioni e i costumi di questa ridente cittadina dell’Hinterland barese. Di seguito il programma della Settimana Santa:

Perchè i crociferi sono coperti dal cappuccio?

Si tratta di anonimato, perché tutti sono uguali, il Primo crocifero è colui che simboleggia Gesù Cristo all’inizio del suo calvario. L’irriconoscibilità sta nel fatto che non si deve far vedere chi “si nasconde” dietro il cappuccio per umiltà.

Ma chi si nasconde, realmente, dietro il cappuccio?

Sono fedeli, cittadini Nojani di tutte le estrazioni. E’ un privilegio essere uno dei Crociferi e ancor di più essere il Primo Crocifero. Pensa che esistono liste di attesa lunghe anni per essere il primo ad uscire con la Croce.

Quali motivazioni spingono ad essere un Crocifero?

Sicuramente ognuno ha una sua esclusiva motivazione magari può essere un “voto” fatto alla Madonna, oppure una tradizione di famiglia, ecc… ma alla base c’è una religiosità non gridata e allo stesso tempo molto sentita.

Quali sono i retroscena della vestizione?

La vestizione sembra un atto medievale e suggestivo, tutti i preparativi avvengono un anno prima, ciò che lavora dietro i riti della settimana santa è una macchina ormai ben collaudata nei riti, nei tempi e modi.

Dentro la Chiesa della Madonna della Lama alle spalle dell’altare, saliti dei gradini,si entrain un locale, è qui che avviene la vestizione del Primo Crocifero.Sembra di essere davanti a delle reliquie, tutto è fatto in silenzio con molta partecipazione, un’esperienza molto particolare e suggestiva.

A quando risalgono i riti?

L’ipotesi è che risalgano al ‘700 grazie ad un fedele spagnolo, al di là di tutto ciò, il fatto davvero suggestivo è che sembra non abbiano un tempo,poichè sono rimasti inalterati nel corso dei secoli.

In questi giorni l’intero paese diventa UN TEATRO A CIELO APERTO. Religione e laicità si fondono in una sola cosa e il sentimento dominante è di rispetto e partecipazione corale.

Perchéindossano un saio nero?

A questa domanda non mi hanno dato una risposta, però ti posso dire che il nero è il colore della notte, del buio. Inoltre, nei paesi occidentali, viene associato al lutto. E’ una forma di rispetto.

Perché bisogna assistere almeno una volta a questi riti?

La Settimana Santa è il modo migliore e unico per conoscere Noicattaro.

Il paese è già famoso per essere considerato la “Capitale dell’uva da tavola” tanto da esportare la maggior parte della produzione in buona parte dei mercati europei.

Ma Noicattaro non è solo questo e i riti della Settimana Santa ne sono un esempio.

L’arte delle sue numerose chiese e cappelle, dei palazzi e delle masserie con il bel centro storico fanno di Noicattaro una bellissima scoperta turistica a due passi dal capoluogo di regione.

Giulia Gentile

L’articolo 21 della Costituzione

             

L’articolo 21 della nostra Costituzione tutela la libertà di manifestazione del pensiero e quella di stampa, due diritti che nella nostra società hanno bisogno di moltissima protezione vista la situazione geo-politica attuale.

Ad essere tutelati sono anche il diritto di cronaca e il diritto di essere informati, oltre a quello di non manifestare alcun pensiero.

Questa è una norma importantissima che nasce con lo scopo di evitare, come accaduto per molti anni in passato, persecuzioni e limitazioni della libertà personale in base alle proprie opinioni o pensieri.

La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e’ uno dei pilastri fondamentali della democrazia e non poteva che essere contenuta nella nostra legge fondamentale visto che senza queste prerogative, non saremmo cittadini liberi.

Dobbiamo comprendere che per quanto storicamente antica, questa norma è uno strumento portante per affrontare la complessità del mondo  moderno che  ci mette di fronte a sfide come quelle dell’intolleranza, della manipolazione e della persuasione.

Marco De Marzo

Carnem levare: Carnevale!

“A carnevale ogni scherzo vale”.

Quante volte vi è capitato di sentire questa frase, e associarla alla festa più divertente e colorata dell’anno! Ma quali sono le origini del Carnevale, quale la sua storia e il suo significato?

La festa di Carnevale è una ricorrenza in uso nei paesi cattolici che non prevede una data fissa ma variabile visto che è una festività collegata alla Pasqua. Tradizionalmente in Italia si festeggia dalla domenica successiva all’Epifania al martedì che precede il mercoledì delle ceneri, inizio della Quaresima.

Il termine Carnevale deriva dal latino “carnem levare” (eliminare la carne) a significare l’usanza del martedì grasso di banchettare e di finire la carne in dispensa, visto che nel periodo di Quaresima la carne non poteva essere mangiata.

Per la Chiesa Cattolica il significato del Carnevale era quello di cercare occasioni per riflettere e ricongiungersi a Dio, sebbene le origini del Carnevale siano molto più antiche.

I caratteri tipici del Carnevale, infatti, risalgono alle antiche feste dionisiache, celebrate nell’antica Grecia in onore di Dioniso (dio del vino, del caos e del divertimento) e alle feste dei “saturnali” romani che si tenevano in onore di Saturno in occasione del solstizio d’inverno e quindi attorno al 21 dicembre.

Questi erano giorni in cui si annullavano le gerarchie e si assisteva al rovesciamento dell’ordine, inoltre mascherarsi rendeva irriconoscibili il ricco e il povero, e scomparivano così le differenze sociali.

Una volta terminate le feste, il rigore e l’ordine tornavano a dettare legge nella società.

Una delle tradizioni più celebri del carnevale sono gli strani e bizzarri travestimenti.

Secondo numerose fonti, tra cui Apuleio, il “travestimento” deve essere fatto risalire a una festa in onore della dea egizia Iside, durante la quale erano presenti numerosi gruppi mascherati, usanza che venne importata anche nell’impero Romano.

In generale però lo spirito della festa è quello di livellare l’ordine delle cose, ribaltare la realtà con la fantasia e travestirsi da ciò che non si è.

Il proverbio associato al carnevale, derivato dall’antico detto latino «semel in anno licet insanire» (una volta l’anno è lecito impazzire) la dice lunga su questa magnifica festa piena di colori, allegria, gioia e divertimento, quindi ricordiamoci tutti che…..

“A carnevale ogni scherzo vale”

Alessandra Nicastri

Vento di Primavera: un film per non dimenticare

Per la giornata della memoria abbiamo visto a scuola ill film “vento di primavera” di ROSE BOSCH , è un film che parla della solidarietà dei cittadini parigini verso i residenti ebrei.

Durante il 1942 a Parigi si trovavano circa 100.000 ebrei e i nazisti volevano arrestare circa 25000 ebrei , molti parigini decisero di aiutarli a nascondersi per evitare  che fossero catturati e portati ai campi di concentramento . É stato un film commovente che ha mostrato la fratellanza dei parigini nei confronti degli ebrei che in quel periodo storico erano considerati di razza inferiore ; alcuni ebrei riuscirono a scappare falsificando i loro documenti o trasferendosi in posti più sicuri . Nel film inoltre hanno mostrato momenti poco conosciuti di questa tragica storia ; mi ha molto colpito la divisione tra i gli adulti e i bambini nel primo campo di concentramento in Francia , dato che gli adulti sarebbero stati portati nei campi di sterminio in Polonia . Ma la cosa che più mi ha rattristato di più è stata la fine del film , quando dei volontari hanno deciso di allestire delle bacheche con le foto delle vittime dei campi di sterminio per dare la possibilità a chi era sopravvissuto di cercare  parenti e amici . Ì ho trovato un film molto particolare che mi ha sicuramente lasciato un segno , inoltre penso che guardare film di questo genere aiuti molto a ricordare, perché gli episodi di questo pezzo di storia non vanno mai scordati per evitare di ripetere gli stessi errori .

Chiara Taccogna

Memoria

Da anni ormai il 27 Gennaio in tutto il mondo si celebra la giornata della memoria in ricordo delle migliaia di vittime  innocenti dell’olocausto ma siamo davvero sicuri di aver imparato qualcosa da quell’orrore?

Io credo che ad oggi molti ancora non abbiano ben capito le mostruosità e le colpe di questa macchia nella storia perché continuano ad inneggiare all’odio, al pregiudizio,al razzismo e alla segregazione razziale.

Quasi sei milioni di persone sono morte perché avevano “la colpa “ di essere nate ebree così come ad oggi molti vengono perseguitati e uccisi perché stranieri,omosessuali o “diversi”, perciò l’umanità ha ancora molto da imparare.

 Marco De Marzo