Leggere o non leggere: a ciascuno la propria scelta

Impariamo a leggere all’età di 6 anni, a 10 anni siamo quasi pronti ad analizzare un intero libro e a 13 anni molti di noi trovano la lettura  noiosa, antiquata e inutile.

Gli adulti, spesso, cercano di avvicinarci alla lettura spiegandoci quanto sia importante, consigliandoci titoli su titoli e costringendoci, in modi diversi, a leggere qualcosa che a loro parere ci piacerà.

Io non so come si possano avvicinare i giovani ala lettura, di una cosa, però sono certo: obbligare un ragazzo a leggere qualcosa che altri trovano interessante è sciocco e inutile poiché anche nella lettura i gusti sono individuali e quindi ciascuno dovrebbe scegliere ciò che gli piace, e non seguire i gusti altrui.

Ovviamente la scuola ha il compito di spiegare e far sperimentare  ai propri alunni i diversi generi affinché i ragazzi possano scegliere e formarsi un proprio gusto, ma, secondo me, non dovrebbe fare più di questo.

Molti pensano che obbligarci a leggere sia qualcosa che “è per il nostro bene” perché solo leggendo potremo apprendere nuove parole, “nuovi mondi” e insegnamenti. Ma è proprio così?                                                                                                                  

Io sono d’accordo con il grande Daniel  Pennac , secondo il quale ”non si possono obbligare le persone a leggere, non si può non soltanto perché leggere non è obbligatorio ma anche perché, con la costrizione, si ottiene l’effetto contrario”.                                                                                                  

Leggere significa entrare nella storia, capirla ed empatizzare con il libro: una persona costretta a leggere, non potrà mai fare tutto questo poiché vedrà questa attività come una punizione e non presterà molta attenzione alle parole lette e anzi, forse, farà anche finta di leggere per poi trovare il riassunto del libro in internet.                                                                                                                

C’è una grande differenza tra il “fare perché voglio” e il “fare perché sono costretto” e allora cerchiamo un modo attraverso il quale leggere diventi un piacere.

Come fare?  Beh, intanto non costringendo nessuno a farlo.

Michele Sciacovelli                                                                                                                                                                                      

Che periodo, l’adolescenza!

Ho cercato sul dizionario la definizione della parola ADOLESCENZA:

/a·do·le·scèn·za/

sostantivo  

Età nella quale continua lo sviluppo e la crescita, tra la puerizia e l’età adulta.

Secondo me non è questa la definizione adatta; secondo me l’adolescenza è piuttosto un periodo della vita in cui si cambia, fisicamente e mentalmente, in cui si vivono momenti difficili e momenti bellissimi, momenti in cui viene voglia di sparire e momenti in cui si è felici di essere se stessi. Adolescenza vuol dire divertirsi con gli amici, non sopportare più i propri genitori, voler vivere la propria vita intensamente e liberamente.

Ora voi direte: – “Cosa ne sai tu dell’adolescenza, hai solo 12 anni! -.

Beh, cari miei, anch’io che ho 12 anni posso affermare di essere un’adolescente. Sì, perché a 12 anni, anche se ancora in forma “embrionale” si è già entrati in questo periodo misterioso, affascinante, a volte angosciante, a volte esaltante.

Esistono, infatti, tre fasi dell’adolescenza:

  • PRIMA adolescenza, che va dai 10 ai 12 anni, durante la quale inizia lo sviluppo puberale, i pensieri cominciano ad essere più profondi, si litiga un po’ più spesso con i genitori e si va alla ricerca della propria identità.
  • SECONDA adolescenza, che va dai 13 ai 15 anni, in cui puberale si completa, si subisce maggiormente l’influenza dei propri coetanei e delle “mode”, ci si comincia a rapportare con il mondo adulto.
  • TERZA (e ultima) adolescenza, che va dai 16 ai 20 anni, durante la quale si comincia a “fare sul serio”: iniziano le preoccupazioni economiche, le ansie sociali, il desiderio di indipendenza, ma si rafforza il rapporto con i propri familiari e con il mondo adulto in generale.

Stando a questa “classificazione”, io mi trovo nella prima fase dell’adolescenza: ho ancora tanta strada da fare, ma sono pronta a farla, nella convinzione che non è poi necessariamente vero quello che sento continuamente dire, e cioè che quella degli adolescenti sia l’età più sofferta e controversa della vita.

Credeteci: può anche non essere per forza così!

Buona adolescenza a tutti!

Ilaria Ferrara

Attenti a non cadere nella rete!!

Inutile negarlo: ormai quasi tutti siamo degli Internet Addicted, sempre connessi alla rete, con smartphone o tablet, seduti davanti ad un computer, distesi sul divano con in mano il telecomando della nostra TV multimediale. Oppure siamo chiusi nella nostra cameretta, con cuffie e microfono ed in mano un joystick, per rilassarci dopo una giornata di studio giocando online al nostro videogame preferito in compagnia di perfetti sconosciuti sparsi in ogni angolo del mondo. Loro, però, fanno parte della nostra “squadra”, stesso “team”, con un nickname di fantasia, coinvolti in una frenetica sessione dello sparatutto più alla moda, legati a noi da un’ “amicizia virtuale” che, ormai, ha preso il posto dell’amicizia vera, quella che nasce dalla frequentazione, dal crescere insieme, dal condividere esperienze che resteranno per sempre nella nostra memoria.

Siamo la generazione dei “followers”, dei “like”, di Instagram e TikTok: ci addormentiamo per sfinimento, guardando video su Youtube, con la sveglia già programmata sul cellulare. Al mattino, ancor prima di aprire gli occhi, siamo già con lo smartphone in mano, a controllare le notifiche dei social, a leggere le notizie del giorno o consultare il meteo per sapere se pioverà oppure no. La nostra giornata prosegue, poi, davanti allo schermo di un tablet o del grande monitor tv, che da tempo ha sostituito la lavagna. Se i professori ci interrogano, il nostro voto diventa un numero scritto sul registro elettronico. Per vedere che compiti ci hanno assegnato, non consultiamo il diario, ma un’app sull’iPad. Non abbiamo mai visto un’enciclopedia in vita nostra, ma Wikipedia sappiamo benissimo cosa sia. Per cercare il significato di un vocabolo non perdiamo tempo a sfogliare un dizionario, ma ci basta pronunciare la formula magica “Hey Google” oppure “Hey Siri”. E le nostre presentazioni multimediali, con tanto di colonna sonora, video, foto, sfondi colorati, transizioni tra le slide, sono degne di un Oscar cinematografico se paragonate alle “vecchie” ricerche, fatte di pagine e pagine scritte a mano, abbellite al massimo da un disegno o da qualche immagine ritagliata ed incollata.

Connessi ad Internet e con il nostro smartphone tra le mani, ci sentiamo onnipotenti: crediamo di avere il mondo intero a nostra disposizione, ci sembra di essere liberi… Ci sembra… ma in realtà quella che consideriamo libertà altro non è che una vera e propria schiavitù, una “dipendenza” a tutti gli effetti. Molti di noi, infatti, non riuscirebbero più a fare a meno del proprio smartphone, non saprebbero più vivere senza essere connessi ad Internet, allo stesso modo in cui un tossicodipendente non potrebbe fare a meno della sua dose di droga o un alcolizzato starebbe male se non bevesse il suo drink. Così, senza nemmeno accorgercene, siamo già, o siamo inevitabilmente destinati ad esserlo, tutti affetti da IAD (Internet Addiction Disorder), ovvero la sindrome causata dalla dipendenza dalla rete e dall’utilizzo dei dispositivi ad essa connessi. Una “dipendenza”, infatti, non deriva necessariamente dall’assunzione di droghe o alcool, ma può anche essere “comportamentale”, cioè associata a normalissime attività socialmente accettate, come, ad esempio, fare acquisti, mangiare, dedicarsi allo sport, usare le tecnologie, nel momento in cui tutto questo avvenga in modo esasperato. Infatti l’utilizzo eccessivo e compulsivo di Internet e dei dispositivi con cui siamo connessi alla rete può portare, come del resto ogni altra forma di dipendenza, ad una serie di conseguenze negative sulla nostra salute mentale, sociale e fisica.

Le cause di questa “subordinazione” possono essere diverse, ma spesso sono legate all’ansia, alla depressione, alla solitudine, alla mancanza di autostima o alla ricerca di gratificazione immediata. Così i giochi virtuali, i social network, le chat, lo shopping online, possono diventare fonti di assuefazione, in quanto forniscono un’illusione di controllo, soddisfazione ed appagamento immediato. La dipendenza da Internet può avere conseguenze anche gravi, portando all’isolamento sociale e causando problemi di salute mentale o difficoltà nell’apprendimento. Infatti, una persona che passa gran parte del suo tempo sulla rete tende ad isolarsi sempre più dalla vita reale, evitando di incontrare anche amici e familiari; difficilmente tende a concentrarsi nello studio o sul lavoro, perché la sua mente è costantemente orientata a pensare a ciò che sta accadendo online; si sente ansiosa o stressata quando non è connessa ed avverte un bisogno sempre più forte ed incontrollabile di “collegarsi”; trascura il proprio benessere e tende a privarsi anche del sonno, trascorrendo molte ore al giorno online, spesso fino a tarda notte; rischia di accumulare debiti, facendo shopping o scommettendo online.

È chiaro che coloro che già vivono una situazione di disagio e le persone emotivamente più fragili possono facilmente diventare dipendenti da Internet e venire risucchiati in quel mondo affascinante ma “oscuro”, qual è il web. Per fare un esempio, qualche anno fa si parlava della pericolosità di un gioco online, noto come “Blue Whale”: una competizione “mortale”, articolata in cinquanta livelli, ciascuno con una prova da superare, ovviamente di difficoltà sempre crescente, fino ad arrivare all’ultimo livello, in cui, per dimostrare il proprio valore, il concorrente avrebbe dovuto suicidarsi. A Bari, per fortuna, la Polizia riuscì a salvare in extremis una tredicenne coinvolta proprio in questo stupido passatempo pericoloso, grazie alla segnalazione di alcune amiche di chat. Dalle indagini emerse che la ragazza, da qualche mese, trascorreva molto tempo al cellulare, andando a letto anche a tarda ora, ed era diventata particolarmente taciturna; nell’ultimo periodo, inoltre, raramente usciva di casa; si era fatta dei tagli sulle braccia con la lametta di un rasoio, dicendo ai genitori di essere stata graffiata dal gatto; pubblicava sul suo profilo Instagram immagini angoscianti e scriveva sul suo diario scolastico frasi che rivelavano il suo malessere interiore. Questo ci fa capire quanto la dipendenza da Internet possa essere pericolosa. E trattandosi di una “dipendenza”, venirne fuori non è certamente cosa facile.

La tecnologia deve facilitarci la vita, non renderci schiavi e le amicizie online non possono e non devono soppiantare le amicizie reali. Ovviamente, affinché ciò diventi possibile, dobbiamo essere noi a capire che dei nuovi dispositivi e di Internet dobbiamo farne buon uso, non un abuso, cercando di trovare il giusto equilibrio e mantenendo uno stretto contatto con la vita reale per non rischiare di essere risucchiati dal mondo virtuale. Perciò io credo che, per evitare di diventare anche noi dipendenti dalla rete, dovremmo innanzitutto limitare il tempo che trascorriamo ogni giorno online. Dovremmo, poi, focalizzarci sulla vita quotidiana, dedicando maggior spazio allo sport, alla lettura, alla musica, cercando di socializzare con amici e familiari. Sarebbe importante anche stabilire delle routine per le nostre giornate e, di conseguenza, anche per le nostre attività online, fissando orari ben precisi da rispettare rigorosamente. E, se proprio non siamo in grado di vincere da soli la nostra dipendenza, chiediamo aiuto a dei professionisti per venire fuori da quel tunnel in cui ci siamo cacciati e per riuscire a riprendere, finalmente, il controllo della nostra vita. Utenti competenti e responsabili, e padroni delle nostre scelte.

Niccolò Lorusso

immagine in copertina di Eliana Delzotti

Non solo goal

Il calcio uno sport, a nostro parere semplicemente sensazionale! Poche volte nella vita, infatti, capiterà di sentirsi così, liberi e spensierati quando, correndo, il vento accarezza la pelle e il pallone scorre tra i piedi! Il calcio è in grado di far provare emozioni e sensazioni nuove e diverse, a seconda dell’idea che la gente si fa di esso: c’è chi pensa sia uno sport solo ed esclusivamente per maschi, io non sono d’accordo, perché secondo me ognuno deve sentirsi libero di praticare ciò che gli piace; c’è inoltre chi dice che è uno sport truccato, con partite organizzate, ma noi la pensiamo diversamente da queste ideologie sul calcio … a volte può essere utilizzato come mezzo per divertirsi.  Ci sono persone a cui non piace il calcio, perché forse pensano che sia un gioco fatto solo di regole, che sia importante avere calciatori abili perché l’unico obiettivo è accumulare goal per vincere la partita. Va rispettata anche questa opinione! Pensiamo, comunque, che del calcio ci si possa appassionare e alcuni sono capaci di innamorarsene, come per esempio chi gioca a questo sport da quando era ancora bambino e quindi lo ha sempre avuto dentro. Concludiamo dicendo che non è mai troppo tardi per appassionarsi a questo magnifico sport, che non solo tiene in forma il fisico, ma anche l’animo dell’atleta: infatti ognuno di noi conosce sicuramente la parola “fair play”, letteralmente “gioco corretto”, che sta ad indicare anche il rispetto e la riconoscenza nelle relazioni tra sportivi, virtù che si estendono alle relazioni interpersonali in generale.

Marco De Bari e Giancarlo Lacitignola

Non solo calcio: ecco a voi l’hockey!

L’hockey non è molto conosciuto nel sud Italia, però è molto praticato nel nord del paese e in altri stati. È uno sport di squadra ed è estremamente movimentato: strategia, velocità e forza fisica sono qualità indispensabili. 

Le partite sono divertenti da guardare perché il ritmo è veloce e pieno di colpi di scena e azioni. Da noi viene praticato sui roller (sui pattini in linea) e non sul ghiaccio come accade altrove. Le partite si disputano in squadre di quattro giocatori più il portiere, ma si alternano più linee di gioco per darsi il cambio necessario per riposare. Ci sono due tempi composti da quindici minuti l’uno. 

Si usano vari tipi di protezioni per garantire la sicurezza sia rispetto agli spintoni che ai colpi del disco simile a un proiettile. Nell’hockey non si può esultare come nel calcio: rischierebbe di sembrare una provocazione, dal momento che la competizione è molto fisica e aggressiva.

A Bari c’è un’associazione sportiva (Rollin’Skate) presso cui si può praticare questo sport a varie fasce di età. Il “Mister” è un bravo coach che ha allenato addirittura la nazionale dell’India. Oltre ad essere una persona preparata, è molto bravo con i ragazzi etiene molto ai propri atleti. A lui non importa vincere a tutti i costi, ma se abbiamo giocato bene e ci siamo impegnati. Inoltre ama tantissimo creare un clima positivo e stare in compagnia: ogni partita finisce sempre con una grigliata e tanto divertimento.

E’ un’attività che frequento da diverso tempo. L’anno scorso ho giocato sia nell’under 12 sia nell’under 14, ma quest’anno non si è formata la squadra under 14, quindi la nostra squadra è fortissima nella sua categoria. Soprattutto in queste fasce di età c’è un’enorme differenza di altezza tra i giocatori. I due anni precedenti eravamo piccolissimi in confronto agli altri, ma adesso siamo cresciuti e abbiamo più speranze di vittoria contro le altre squadre. 

La nostra squadra si allena in una zona periferica di Bari, nel quartiere Japigia. Un tempo era una discarica, ora è stata bonificata e si chiama Ecopoli e c’è una pista di hockey. Si trova all’aperto, quindi, in base al tempo, ci alleniamo lì, sulla copertura dell’Ipercoop di Japigia oppure nella palestra del Liceo Salvemini. Per i ragazzi del quartiere e della città è una buona opportunità di avere un posto dove passare il tempo e fare sport.

Anche se le competizioni prevedono contrasti violenti, l’hockey è adatto sia per ragazzi che per ragazze di tutte le età. Infatti la mia squadra è mista, composta sia da maschi che femmine. E non mi spiego perché nel calcio non sia così.

Io consiglio questo sport a tutti perché è molto elettrizzante e divertente da giocaree ogni volta è sempre bello disputare allenamenti e partite. E’ bello anche imparare a pattinare “da Dio” e spintonare gli altri sapendo di non far male a nessuno.

Francesco Serviddio

Dipendenza dai dispositivi tecnologici: una vera e propria droga!

Al giorno d’oggi spesso noi ragazzi siamo letteralmente schiavi della tecnologia; quest’ultima è nata per migliorare la nostra società, ma molti di noi ne diventano dipendenti senza rendersene conto. L’uso eccessivo dei dispositivi elettronici è una vera e propria dipendenza, caratterizzata dal ricorso morboso a strumenti comuni e diffusissimi come lo smartphone o il computer.

Questo fenomeno interessa soprattutto la popolazione giovanile e causa degli effetti negativi come nervosismo, agitazione, mal di testa…

Molte volte, quando mi ritrovo con alcuni amici, noto come loro siano vittime e dipendenti da social come TikTok o simili tanto da non essere lì con me che sono davanti a loro, ma da divertirsi con persone che a volte neppure conoscono e che sono lontanissime.

Mi interrogo spesso sullo stato d’animo di coloro che soffrono di questo tipo di dipendenza: possono essere definiti felici? Sono sereni? Sono contenti del rapporto che hanno con se stessi e con gli altri? Si sentono parte della società in cui vivono?

Io credo che la risposta a tutte queste domande non è quasi mai positiva, perchè la necessità di utilizzare in modo spasmodico gli smartphone o i social media lascia trasparire una mancanza di benessere interiore e soprattutto la necessità di occupare il tempo perché sopraffatti dalla noia, dall’incapacità di fare altro, dalla superficialità dei rapporti.

Cosa possiamo fare per disintossicarci dagli smartphone, tablet, computer e da tutti gli strumenti tecnologici?

La risposta è tornare ad essere delle persone e non degli zombie, riscoprire la bellezza e la ricchezza della vita, prenderci del tempo per noi stessi, socializzare, passeggiare senza dimenticarci di guardare ciò che ci circonda.
Insomma, riprenderci la nostra vita!

Giorgia Dentuto.

Parliamo di balbuzie?

Soffro di balbuzie da sempre; quando ho imparato a parlare pronunciavo male alcune parole, e per questo i miei genitori mi hanno fatto seguire da una logopedista che ha cercato di aiutarmi a superare la balbuzie ma con me ha avuti scarsi risultati. Sono riuscito a migliorare solo con il tempo, “parlando”.

Comincio con il dire una cosa che può sembrare ovvia, ma che non lo è: chi non soffre di questo disagio, come di altri, non dovrebbe discriminare chi invece ne soffre, ma, se possibile, aiutarlo. Come?

Cercherò di darvi dei consigli per mettere a proprio agio il balbuziente.

Due cose, secondo me, sono le più importanti: non completare assolutamente le frasi, perchè sembrerà che vi stiate annoiando e farete sentire sbagliata la persona; non invitare a tirare un respiro perché questo non c’entra assolutamente niente. Inoltre bisogna evitare di chiedere di parlare più lentamente, perchè il balbuziente sta già facendo una fatica immane. Già questo è tanto…

Sarebbe utile, inoltre, che tutti gli insegnanti si informarmassero di più: è vero che non possono sapere tutto, ma dovrebbero almeno essere in grado di non aumentare il disagio di chi fatica a parlare.

Io stesso sono disposto a mettere a disposizione di ragazzi e insegnanti la mia esperienza perché insieme possiamo raggiungere un risultato importante!

Conoscere ciò che accade è sempre il primo passo per raggiugere un risultato, e allora voglio ricordarvi che la balbuzie non è una malattia ma  un disturbo del parlato che consiste nel ripetere più volte la stessa sillaba.

Le forme di questo disagio sono tre: la tonica, la clonica e una forma mista delle due. La balbuzie tonica è caratterizzata da blocchi improvvisi e parossistici di emissione del linguaggio, per cui la persona non può cominciare un dato fonema o non riesce a superarlo per passare ad un altro.

La forma clonica si presenta con una ripetizione convulsiva di un suono, di una sillaba o di una parola, soprattutto all’inizio della produzione verbale o durante l’enunciazione della frase.

A causa della balbuzie, molti soffrono di ansia sociale, di glossofobia (deriva dal greco γλῶσσα glōssa, lingua, e φόβος phobos, paura o fobia) o ancor peggio diventano hikikomori (termine giapponese che significa “stare in disparte“), decidendo di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, a volte anni: rinchiusi nella propria abitazione, gli hikikomori evitano qualunque tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta anche con i familiari.

Le situazioni di disagio che vivono le persone affette da balbuzie sono molteplici: diventa difficile parlare con un amico, esporre una lezione o sostenere un esame, talvolta anche dire “presente” durante l’appello a scuola…

La persona, se non riesce a pronunciare una parola, si sente in enorme disagio e desidera solo smettere di parlare; quando riesce a non balbettare è letteralmente al settimo cielo.

Molti personaggi famosi che hanno superato le balbuzie hanno deciso di “parlare più forte degli altri”, tra loro ricordiamo Paolo Bonolis, Marilyn Monroe, il cantante pop Marc Anthony.

Perciò non abbiate  mai fretta di raccogliere i frutti dei piccoli gesti: a volte diffondendo informazione come fa questo articolo inneschiamo onde come un sasso in uno stagno o un battito d’ali di un colibrì che può diventare un uragano.

                                               Claudio Villani

Non mollate mai… Siete dei geni!

Tante volte ho sentito dire “povero bambino”, tante volte ho visto sguardi tristi per qualche ragazzo o ragazza con disturbi specifici dell’apprendimento. Quanta rabbia dentro di me quando sono arrivate mamme che trattavano i propri figli con DSA come malati. Sono un tutor specialistico per Disturbi specifici dell’apprendimento e sono felice di essere in contatto con questi ragazzi GENIALI!. Sì, geniali, perché per chi non lo sapesse sono ragazzi e ragazze con un normale e a voltealto livello intellettivo! Certo ci sono casi molto diversi tra loro, alcuni dei quali con una maggiore compromissione di natura neurobiologica, dovuta anche ad un fattore di ereditarietà. Però bisogna porre fine agli atteggiamenti discriminatori, quindi proviamo a conoscere meglio i Disturbi specifici dell’apprendimento.

Ve li presento in poche e semplici parole.

Quali sono i DSA?

Un bambino o ragazzo con DSA può avere uno o più disturbi(quando sono più di uno si parla di comorbilità), a seconda della diagnosi degli specialisti preposti a tale indagine (neuropsichiatri infantili, neuropsicologi o logopedisti), e sono:

  • Dislessia
  • Disgrafia
  • Disortografia
  • Discalculia

Ma cosa sono nello specifico?

La dislessia: è un disturbo caratterizzato dalla presenza di difficoltà nella lettura, con errori frequenti ed eccessiva lentezza nel leggere, nonostante il bambino mostri un’intelligenza nella norma o a volte al di sopra della norma. Spesso i primi indicatori della dislessia si osservano con l’inizio delle scuole elementari, ed è necessario un intervento precoce per favorire un maggior senso di autoefficacia e autostima nel bambino. Riporto di seguito come appare ad un dislessico un testo scritto:

Fonte: Internet

Complicato vero? Chi è normodotato non può comprendere l’ansia e l’angoscia di questi ragazzi, che a volte per non fare una brutta figura si rifiutano di leggere. Ma sapevate che ci sono strumenti compensativi che vanno in loro aiuto? Ebbene sì! I DSA possono usare testi che hanno l’audiolettura, sistemi elettronici che leggono per loro, perché purtroppo questi ragazzi se leggono non riescono a comprendere ciò che leggono, soprattutto perché si stancano facilmente, per cui c’è bisogno di un supporto, o anche una persona, che legga per loro il testo. E vi dirò di più, il ragazzo può prepararsi già molto prima il testo (un testo breve per non farlo stancare) da leggere in classe, in modo tale che sappia gestire il momento. Certo leggerà con maggiore lentezza rispetto agli altri, ma se ci si mostra pazienti e fiduciosi ci riuscirà!

La disgrafia: interessa la scrittura di parole e numericon l’uso del segno graficoche può essere compromesso in modo lieve, medio o grave. La grafia risulta quindi disordinata, difficilmenteleggibile epoco chiara. Sono diversi i fattori che entrano in gioco, i principali sono:

  • Coordinazione occhio-mano.
  • Rapidità motoria.
  • Abilità motorie, come il pattern grafo-motorio, ovvero i movimenti svolti quando si scrive.
  • Capacità visuospaziali.

La scrittura coinvolge un insieme di abilità, che nel bambino disgrafico sono mancanti o carenti, con conseguentedifficoltà nell’apprendimento. Alcune volta questo disturbo si accompagna alla disprassia.

Fonte: Internet

E allora come aiutarli? Anche per i disgrafici ci sono supporti compensati. Eccone alcuni:

  • Quaderni per la disgrafia.
  • Per una corretta impugnare esistono appositi strumenti applicabili a qualunque penna o matita. Sono accessori ergonomici.
  • Matite ergonomiche.
  • Penne ergonomiche.
  • Videoscrittura, con l’ausilio del programma Word.

La disortografia: un disturbo specifico che coinvolge la correttezza della scrittura, cioè l’ortografia, quindi viene meno la capacità di rappresentare graficamente i suoni e le parole della propria lingua. Gli errori più comuni si evidenziano nell’ortografia, nella grammatica, nella morfologia e nella sintassi.

Fonte: Internet

Tra gli strumenti compensativi ci sono:

– Mappe concettuali, schemi e tabelle.

– Programmi di videoscrittura (come Word).

– Software speech-to-speech, cioè programmi che consentono di dettare al PC, ottenendo un testo scritto.

La discalculia:è un disturbo legato alle difficoltà nel calcolo matematico che si manifestano in età evolutiva.

Fonte: Internet

Alcuni strumenti compensativi sono:

  • Calcolatrice classica.
  • Calcolatrice parlante.
  • Tavola pitagorica.
  • Linea dei numeri.
  • Quaderni delle regole e delle formule.

Questa è solo una panoramica generale! Ci sarebbe molto ma molto da dire e da approfondire. Ma a cosa sono dovuti questi disturbi, se non sono legati all’intelligenza generale del soggetto? I disturbi specifici dell’apprendimento rientrano nella categoria dei disturbi di natura neurobiologica, dovuti ad una disfunzione del sistema nervoso centrale, che vanno a gravare su determinate aree dell’apprendimento e che si manifestano nella difficoltà di una lettura fluente e corretta, nello scrivere e nel fare i calcoli.Si possono definire “disturbi” nel momento in cui c’è una diagnosi clinica. Purtroppo però il più delle volte si confondono i disturbi con la disabilità, che sono due cose completamente diverse! E comunque in entrambi i casi bisogna essere inclusivi, affinché questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ma anche adulti, si sentano parte di un gruppo. La serenità e l’essere accettati sono elementi importanti per loro, perché aiutano il loro neurosistema. Certo sono anche dell’idea che non dobbiamo per forza andare alla ricerca di soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento, non dobbiamo per forza fare una “caccia alle streghe”, anzi bisogna fare molta attenzione, perché non è un gioco sottoporre un bambino o un ragazzo a visite specialistiche stressanti. Innanzitutto la delicatezza e le opportune attenzioni per capire che soggetto abbiamo davanti.

Di seguito riporto un link in cui sono elencati tutti i dislessici più famosi che hanno fatto la nostra storia: https://www.dislessia.tv/dislessici-famosi-attori-artisti-scienziati/.

Inoltre voglio indicarvi alcuni link che riguardano le leggi di cui godono i DSA:

https://www.aiditalia.org/leggi-regionali-sui-dsa
https://redooc.com/it/genitori/consigli-genitori/dsa/normativa-dsa
https://www.anastasis.it/legge-170-dsa/

Il mio pensiero ai ragazzi con DSA…non mollate mai!! Voi siete geni!

A volte mi dispero,

mi vergogno perché non riesco a leggere

le lettere danzano dinanzi ai miei occhi,

e sento le risatine dei miei amici…

allora penso che non sarò mai capace

di fare nulla nella vita

per questa mia maledetta difficoltà!

Ma un giorno una persona mi ha guidato

mi ha detto che io sarei riuscito a leggere

e a comprendere come tutti gli altri!

E con tanto lavoro,

piano piano, sono riuscito

…e oggi non ho più paura!

Monica Cocciardo (articolo) – Carlotta Ciccarelli (disegno)

Disegno, che passione!

La passione del disegno è veramente insolita, soprattutto quando si tratta di un ragazzo che scrive per un giornaletto e passa il suo tempo anche a disegnare. Quel ragazzo sono io, Luca Cavone.

Ho sempre voluto disegnare, da quando ero un bambino a oggi. So anche dipingere, infatti lo facevo quasi sempre con mia nonna, ma ora mi dedico di più al disegno.

Mi ricordo che i miei nonni e i miei genitori mi compravano, e tuttora lo fanno, delle cassette piene di colori a pastello, a cera, delle penne per delineare i punti del corpo.

Mi piace rappresentare le mie emozioni e sentimenti in un solo disegno, un volto che per me esprime tutto ciò che mi sento dentro. In passato mi è capitato anche di disegnare in classe per sfogare tutto ciò che avevo dentro, ma appena mi sono accorto che mi distraevo ho smesso.

Ora cerco di migliorarmi sempre più, ispirandomi leggendo i manga (dei fumetti di origine giapponese) e seguendo tutorial su internet che spiegano come disegnare le varie parti delcorpo. Sarebbe bello anche frequentare un corso. Ultimamente, infatti, mi sto appassionando alle tecniche di disegno con gli strumenti tecnologici, anche se richiede pazienza e attenzione.

Luca Cavone

Inclusione… Integrazione… Ma è davvero così?

Dovremmo iniziare a domandarci se tutti i luoghi che frequentiamo sono adatti alle persone con disabilità.

Oggi io e il mio amico Francesco (un ragazzo in carrozzina) vorremmo parlarvi delle difficoltà che si possono incontrare nella vita di tutti i giorni e delle limitazioni fisiche che, pur non influenzando quelle mentali, diventano ostacoli difficili da superare quando devono fare i conti con la disorganizzazione di ambienti che non considerano la disabilità.

Infatti le vere limitazioni sono quelle dei posti che non permettono alle persone come Francesco di vivere come tutti noi e che spesso le costringono a rinunciare ad esperienze importanti.  

Per questa ragione abbiamo deciso di rilasciare un’intervista, in cui io, Luca, rivolgerò delle domande a Francesco, mio compagno di classe.

Luca: Francesco, ti è mai capitato di avere delle difficoltà nella vita di tutti i giorni?

Francesco: Sì, e le mie difficoltà partono già da casa. Nel mio palazzo ci sono due ascensori, di cui uno è bloccato da più di un mese. Se si blocca l’altro, rischio di rimanere chiuso in casa e di non poter andare a scuola, a fare fisioterapia…

L: Frequenti gli stessi luoghi che frequentiamo noi?

F: Si, ma spesso mi capita di dover lasciare fuori la carrozzina perché i passanti mi impediscono il passaggio. Altre volte ci sono pochi parcheggi dedicati alle persone con disabilità e questo costringe i miei genitori a parcheggiare l’auto lontano dal luogo che dobbiamo raggiungere e può essere molto faticoso spostarsi con la carrozzina tra auto in doppia fila e marciapiedi stretti.

L: Ti sei mai sentito discriminato e diverso?

F: Ora molto meno, ma prima di più perché non riuscivo a praticare il mio sport preferito, il calcio. Ora, invece, ci penso molto meno perché pratico il nuoto, uno sport che trovo  stupendo e che mi fa sentire a mio agio.

L: Qualcuno ha mai espresso considerazioni sul fatto che secondo l*i potessi avere difficoltà anche mentali?

F: No, non mi hanno mai detto niente perché vedendomi capiscono subito il tipo di difficoltà che ho e spesso mi dicono anche che sono molto intelligente. Del resto a scuola faccio le stesse cose che fanno i miei compagni, solo in alcuni casi in modo un po’ “adattato” alla mia condizione.

L: C’è mai stato qualcuno che ti ha discriminato per la tua condizione?

F: Per fortuna no e spero che non mi capiti mai. Sono convinto che se tutti i luoghi fossero davvero accessibili a tutti, anche la disabilità sarebbe meno evidente.

L: Ti è piaciuta questa intervista? Pensi che possa essere utile per suggerire una migliore organizzazione di quei luoghi che diventano inavvicinabili per le persone che vivono situazioni come la tua o simili?                                                                                                                                                      

F: L’intervista mi è piaciuta molto e spero che possa spingerci a prestare maggiore attenzione ai bisogni delle persone con disabilità.  

Luca Florio e Francesco Maria Paciullo.