Niccolò Piccinni: un legame indissolubile tra la musica e la città di Bari

Niccolò Piccinni (Vito Niccolò Marcello Antonio Giacomo) nacque a Bari il 16 gennaio 1728 da Onofrio (dal 1719 violinista e contrabbassista nella basilica di S. Nicola e nel 1743 maestro di cappella ad interim) e da Silvia Latilla, sorella dell’operista Gaetano.  È considerato uno dei maestri dell’opera buffa napoletana.

Ricevuta dal padre una prima formazione musicale, si trasferì a Napoli e lì proseguì gli studi nel conservatorio di S. Onofrio; durante questi anni di studio ebbe comunque modo di tornare a Bari per coadiuvare l’attività paterna. Il debutto operistico avvenne nell’autunno del 1754 al teatro dei Fiorentini di Napoli con Le donne dispettose. Nel gennaio 1756 al Nuovo venne allestita la commedia per musica Il curioso del suo proprio danno. Il 13 luglio, nella parrocchia dei SS. Francesco e Matteo, Piccinni sposò la cantante quattordicenne Vincenza Sibilla, sua allieva: il loro primogenito, Giuseppe Maria Onofrio Gabriele, nacque meno di otto mesi dopo. Il 18 dicembre musicò al teatro di S. Carlo la Zenobia del Metastasio. Seguirono L’amante ridicolo deluso e la metastasiana Nitteti.

Consolidata in patria la propria notorietà, Piccinni poté affrontare le scene di Roma nel genere serio: al teatro Argentina il 21 gennaio 1758 fu messo in scena Alessandro nell’Indie, sempre del Metastasio. In quello stesso anno compose La morte d’Abele  e nella stagione autunnale e invernale tornò al teatro Nuovo. Il 6 febbraio 1760 al teatro delle Dame di Roma andò in scena La buona figliuola, dramma giocoso di Carlo Goldoni. Quest’opera, spesso citata sotto il nome di Cecchina (sesto tra i titoli comici d’attribuzione certa, scritto a soli sei anni dal debutto teatrale) delineò in modo decisivo lo stile di Piccinni.

In seguito il compositore barese tenne un ritmo di produzione costante (da 3 a 5 opere buffe l’anno), e, fra il 1760 e il ’70, compose oltre cinquanta fra opere serie e comiche. Queste ultime, dal 1762, cominciarono significativamente a diffondersi in Europa.

Oltre a Giuseppe Maria, Piccinni ebbe cinque figlie e un secondo figlio maschio, che avrebbe poi seguito le orme paterne nei teatri d’Italia, di Parigi e di Stoccolma. Nel 1774 compose il suo più valido e maturo melodramma, l’Alessandro nelle Indie il cui successo determinò, di lì a due anni, il trasferimento a Parigi. Con diciassette opere, egli fu l’autore più frequentemente scritturato al S. Carlo nel XVIII secolo, assieme a Johann Adolf Hasse. Almeno a partire dal 1767 Piccinni fu maestro di composizione al conservatorio di S. Onofrio. Agli incarichi di organista della Real Cappella e vicemaestro della cappella in Duomo, egli affiancò una florida attività privata di docente e di maestro di cappella in vari conventi e istituti religiosi partenopei. Nel 1776 fu chiamato a Parigi. Dopo un primo concerto pubblico, il 29 gennaio i parigini gustarono la versione francese della Cecchina alla Comédie Italienne. Il 19 febbraio fu introdotto alla corte di Maria Antonietta, di cui fu poi maestro di canto e clavicembalo. La collaborazione con Marmontel sfociò nella tragédie-lyrique d’esordio, Roland, eseguita in privato l’11 ottobre 1777 e all’Opéra il 27 gennaio 1778 con ottima accoglienza (26 repliche fino al 28 giugno). Atys fu eseguita a corte il 22 febbraio 1780, il 4 aprile all’Opéra. Il 23 gennaio 1781 andò in scena con esito mediocre Iphigénie en Tauride, resa celebre da una querelle combattuta tra Piccinni e Christoph Willibald Gluck, il musicista boemo autore di una diversa Iphigénie en Tauride data all’Opéra il 18 maggio 1779 (l’opera di Piccinni sarebbe dovuta essere allestita il 15 gennaio 1779). Nel 1782 Piccinni, residente a Méréville, fu nominato direttore della scuola di canto dell’Opéra e avviò così un’intensa attività didattica.

 Durante il periodo parigino la sola opera che riscosse autentico successo fu Didon, anche se altre opere ebbero  ottima accoglienza, ma lo scoppio della Rivoluzione impedì l’allestimento della promettente Clytemnestre. Angustiato da ristrettezze economiche, al rientro in patria il compositore fu mal visto dal regime borbonico. La pensione regia non risolse l’indigenza che lo attanagliò dopo la rovinosa gestione della vendita per procura delle lastre delle sue partiture francesi e dei diritti di rappresentazione. Fallimentare si dimostrò anche il tentativo di tornare a imporsi come autore di drammi seri.

 Dopo il rientro da Venezia, dove nell’autunno 1793 aveva seguito al S. Samuele l’allestimento del «dramma eroico comico» Griselda, Piccinni fu ufficialmente accusato di giacobinismo e messo agli arresti domiciliari per ben quattro anni, durante i quali si limitò a intonare alcuni Salmi e a progettare una fuga da Napoli che concretò infine nel 1799. Lasciata la famiglia e rifugiatosi a Roma, rientrò a Parigi in compagnia d’un membro della legazione francese a Napoli.

Acclamato dai musicisti del neocostituito Conservatoire come un martire della Rivoluzione, ricevette una pensione di sostentamento e a luglio fu raggiunto dai familiari.

Nell’aprile 1800 Napoleone nominò Piccinni ispettore del conservatorio, onorificenza di cui poté godere per meno di un mese.

Niccolò Piccinni morì il 7 maggio 1800 a Passy per un blocco renale. Durante i funerali solenni Jean-François Lesueur lesse il discorso commemorativo, e il trasporto della salma fu accompagnato dalla musica del coro dei Sogni di Atys, con parole opportunamente parafrasate.

A Bari, in suo onore, fu costruito un grande teatro al quale il Comune dette il suo nome, oltre ad una statua in marmo che lo fronteggia e che sembra dirigere dall’esterno la sua musica eterna. Anche il conservatorio della sua città d’origine è a lui orgogliosamente intitolato. Nella città vecchia, la sua casa, è ora diventata un museo.

                                                                                       Miriam Cascione

“JAZZ” LA MUSICA DELL’ANIMA

Il Jazz è un particolare genere musicale nato negli Stati Uniti, in Louisiana, alla fine del XIX secolo la cui caratteristica peculiare è l’improvvisazione. Il Jazz fu il genere musicale più diffuso durante la seconda guerra mondiale, in quanto la musica si rivelò un mezzo fondamentale per distrarsi e per distaccarsi dagli orrori che venivano vissuti quotidianamente sui campi di battaglia, concedendo anche alla popolazione civile quell’attimo di evasione dalle difficoltà giornaliere.
I soldati, dopo aver combattuto e lavorato a lungo durante il giorno, la sera si divertivano danzando nelle sale da ballo e si concedevano un momento per dimenticare il tragico periodo che stavano vivendo.
Il jazz nacque a New Orleans, la più grande città degli stati del Sud, da un mix di blues, gospel, work song e musica europea. Si sviluppò a partire dagli anni ’20 con i musicisti neri delle prime dixieland- band.
Alcuni musicisti jazz si arruolavano volontariamente nell’esercito; altri, invece, organizzavano concerti negli Stati Uniti e anche all’estero per far diffondere questo nuovo genere, contribuendo a divulgare i valori americani nel mondo.
Il più importante musicista di quell’epoca fu Glenn Miller,” Il re dello swing”, il quale viene tutt’oggi ricordato per i concerti della sua big band e per il suo contributo alla guerra che il suo paese stava combattendo. Miller scomparve improvvisamente nel 1944 mentre sorvolava la Manica a bordo di un aereo militare per raggiungere Parigi, dove la sua orchestra avrebbe dovuto suonare in onore dei soldati che avevano liberato la capitale francese. Il suo corpo non fu mai recuperato.
In Italia, durante il periodo fascista, il jazz fu bandito e addirittura fu definito, dai libri di propaganda distribuiti nelle scuole, “roba da negri”. Ma la bellezza di questa musica era tale da affascinare chiunque: furono proprio i figli del Duce, ai quali la musica piaceva molto, a farsi mandare le ultime novità discografiche da un negozio di Roma, facendo in modo che nessuno ne sapesse niente. Romano Mussolini diventò anche un apprezzato pianista jazz.
Nel 1904 il Jazz sbarca, in Italia, al Teatro Eden di Milano grazie ad un gruppo di ballo creolo.
Nonostante la popolarità del genere, in Italia il primo concerto jazz arriva solamente nel 1917 con Vittorio Spina, primo musicista jazz italiano.

Successivamente si diffuse in Italia, avendo grande successo, intorno agli anni Trenta, grazie a vere e proprie orchestre Jazz guidate da Arturo Agazzi. Dagli anni ’40 agli anni ’60, l’Italia diede alla luce alcuni tra i più grandi esponenti di questo genere, quali Gorni Kramer, Giorgio Gaslini, Lelio Luttazzi, Franco Cerri e il compositore, Bruno Martino.
In seguito molti altri artisti italiani scrissero brani jazz, fondendo insieme canzoni europee, tecniche di composizione classica, jazz americano e musica folk.
Dal 1930 nascono le prime band italiane come quella di Arturo Agazzi. Durante quegli anni, un notevole numero di registrazioni vennero fatte dagli italiani e dai musicisti stranieri. Nel gennaio 1935 Louis Armstrong, durante il suo tour europeo, si esibisce a Torino facendo innamorare gli italiani. La maggior parte delle case discografiche affiliate al genere, non a caso, si trovavano proprio a Milano e a Torino.
Dal passato sino ai nostri tempi, ritroviamo tra i migliori artisti Jazz contemporanei Franco Cerri, Enrico Rava, Antonello Salis, Massimo Urbani, Paolo Fresu, Stefano Bollani, Antonio Farao, Dado Moroni, Aldo Romano, Stefano di Battista, Pino Presti, Enrico Intra, Tullio De Piscopo, Enrico Pieranunzi e Gianluigi Trovesi. Il Jazz in Italia, non è mai tramontato, infatti, il suo successo è sempre stato stabile e continuo, e molto praticato. Infatti, ogni anno, si possono godere eventi su tutto il territorio nazionale, quello più famoso, ricordiamo l’Umbria Jazz Festival.

Miriam Cascione