Attenti a non cadere nella rete!!

Inutile negarlo: ormai quasi tutti siamo degli Internet Addicted, sempre connessi alla rete, con smartphone o tablet, seduti davanti ad un computer, distesi sul divano con in mano il telecomando della nostra TV multimediale. Oppure siamo chiusi nella nostra cameretta, con cuffie e microfono ed in mano un joystick, per rilassarci dopo una giornata di studio giocando online al nostro videogame preferito in compagnia di perfetti sconosciuti sparsi in ogni angolo del mondo. Loro, però, fanno parte della nostra “squadra”, stesso “team”, con un nickname di fantasia, coinvolti in una frenetica sessione dello sparatutto più alla moda, legati a noi da un’ “amicizia virtuale” che, ormai, ha preso il posto dell’amicizia vera, quella che nasce dalla frequentazione, dal crescere insieme, dal condividere esperienze che resteranno per sempre nella nostra memoria.

Siamo la generazione dei “followers”, dei “like”, di Instagram e TikTok: ci addormentiamo per sfinimento, guardando video su Youtube, con la sveglia già programmata sul cellulare. Al mattino, ancor prima di aprire gli occhi, siamo già con lo smartphone in mano, a controllare le notifiche dei social, a leggere le notizie del giorno o consultare il meteo per sapere se pioverà oppure no. La nostra giornata prosegue, poi, davanti allo schermo di un tablet o del grande monitor tv, che da tempo ha sostituito la lavagna. Se i professori ci interrogano, il nostro voto diventa un numero scritto sul registro elettronico. Per vedere che compiti ci hanno assegnato, non consultiamo il diario, ma un’app sull’iPad. Non abbiamo mai visto un’enciclopedia in vita nostra, ma Wikipedia sappiamo benissimo cosa sia. Per cercare il significato di un vocabolo non perdiamo tempo a sfogliare un dizionario, ma ci basta pronunciare la formula magica “Hey Google” oppure “Hey Siri”. E le nostre presentazioni multimediali, con tanto di colonna sonora, video, foto, sfondi colorati, transizioni tra le slide, sono degne di un Oscar cinematografico se paragonate alle “vecchie” ricerche, fatte di pagine e pagine scritte a mano, abbellite al massimo da un disegno o da qualche immagine ritagliata ed incollata.

Connessi ad Internet e con il nostro smartphone tra le mani, ci sentiamo onnipotenti: crediamo di avere il mondo intero a nostra disposizione, ci sembra di essere liberi… Ci sembra… ma in realtà quella che consideriamo libertà altro non è che una vera e propria schiavitù, una “dipendenza” a tutti gli effetti. Molti di noi, infatti, non riuscirebbero più a fare a meno del proprio smartphone, non saprebbero più vivere senza essere connessi ad Internet, allo stesso modo in cui un tossicodipendente non potrebbe fare a meno della sua dose di droga o un alcolizzato starebbe male se non bevesse il suo drink. Così, senza nemmeno accorgercene, siamo già, o siamo inevitabilmente destinati ad esserlo, tutti affetti da IAD (Internet Addiction Disorder), ovvero la sindrome causata dalla dipendenza dalla rete e dall’utilizzo dei dispositivi ad essa connessi. Una “dipendenza”, infatti, non deriva necessariamente dall’assunzione di droghe o alcool, ma può anche essere “comportamentale”, cioè associata a normalissime attività socialmente accettate, come, ad esempio, fare acquisti, mangiare, dedicarsi allo sport, usare le tecnologie, nel momento in cui tutto questo avvenga in modo esasperato. Infatti l’utilizzo eccessivo e compulsivo di Internet e dei dispositivi con cui siamo connessi alla rete può portare, come del resto ogni altra forma di dipendenza, ad una serie di conseguenze negative sulla nostra salute mentale, sociale e fisica.

Le cause di questa “subordinazione” possono essere diverse, ma spesso sono legate all’ansia, alla depressione, alla solitudine, alla mancanza di autostima o alla ricerca di gratificazione immediata. Così i giochi virtuali, i social network, le chat, lo shopping online, possono diventare fonti di assuefazione, in quanto forniscono un’illusione di controllo, soddisfazione ed appagamento immediato. La dipendenza da Internet può avere conseguenze anche gravi, portando all’isolamento sociale e causando problemi di salute mentale o difficoltà nell’apprendimento. Infatti, una persona che passa gran parte del suo tempo sulla rete tende ad isolarsi sempre più dalla vita reale, evitando di incontrare anche amici e familiari; difficilmente tende a concentrarsi nello studio o sul lavoro, perché la sua mente è costantemente orientata a pensare a ciò che sta accadendo online; si sente ansiosa o stressata quando non è connessa ed avverte un bisogno sempre più forte ed incontrollabile di “collegarsi”; trascura il proprio benessere e tende a privarsi anche del sonno, trascorrendo molte ore al giorno online, spesso fino a tarda notte; rischia di accumulare debiti, facendo shopping o scommettendo online.

È chiaro che coloro che già vivono una situazione di disagio e le persone emotivamente più fragili possono facilmente diventare dipendenti da Internet e venire risucchiati in quel mondo affascinante ma “oscuro”, qual è il web. Per fare un esempio, qualche anno fa si parlava della pericolosità di un gioco online, noto come “Blue Whale”: una competizione “mortale”, articolata in cinquanta livelli, ciascuno con una prova da superare, ovviamente di difficoltà sempre crescente, fino ad arrivare all’ultimo livello, in cui, per dimostrare il proprio valore, il concorrente avrebbe dovuto suicidarsi. A Bari, per fortuna, la Polizia riuscì a salvare in extremis una tredicenne coinvolta proprio in questo stupido passatempo pericoloso, grazie alla segnalazione di alcune amiche di chat. Dalle indagini emerse che la ragazza, da qualche mese, trascorreva molto tempo al cellulare, andando a letto anche a tarda ora, ed era diventata particolarmente taciturna; nell’ultimo periodo, inoltre, raramente usciva di casa; si era fatta dei tagli sulle braccia con la lametta di un rasoio, dicendo ai genitori di essere stata graffiata dal gatto; pubblicava sul suo profilo Instagram immagini angoscianti e scriveva sul suo diario scolastico frasi che rivelavano il suo malessere interiore. Questo ci fa capire quanto la dipendenza da Internet possa essere pericolosa. E trattandosi di una “dipendenza”, venirne fuori non è certamente cosa facile.

La tecnologia deve facilitarci la vita, non renderci schiavi e le amicizie online non possono e non devono soppiantare le amicizie reali. Ovviamente, affinché ciò diventi possibile, dobbiamo essere noi a capire che dei nuovi dispositivi e di Internet dobbiamo farne buon uso, non un abuso, cercando di trovare il giusto equilibrio e mantenendo uno stretto contatto con la vita reale per non rischiare di essere risucchiati dal mondo virtuale. Perciò io credo che, per evitare di diventare anche noi dipendenti dalla rete, dovremmo innanzitutto limitare il tempo che trascorriamo ogni giorno online. Dovremmo, poi, focalizzarci sulla vita quotidiana, dedicando maggior spazio allo sport, alla lettura, alla musica, cercando di socializzare con amici e familiari. Sarebbe importante anche stabilire delle routine per le nostre giornate e, di conseguenza, anche per le nostre attività online, fissando orari ben precisi da rispettare rigorosamente. E, se proprio non siamo in grado di vincere da soli la nostra dipendenza, chiediamo aiuto a dei professionisti per venire fuori da quel tunnel in cui ci siamo cacciati e per riuscire a riprendere, finalmente, il controllo della nostra vita. Utenti competenti e responsabili, e padroni delle nostre scelte.

Niccolò Lorusso

immagine in copertina di Eliana Delzotti

La giornata per i diritti delle donne

L’8 marzo è il giorno in cui sono nato, ma soprattutto è una giornata molto importante per tutte le donne. In questa data, infatti, ricorre quella che per molti è la “festa della donna”, un evento consumistico fatto di mimose, regali e cene tra amiche, ma in realtà, più che un giorno di festa, andrebbe considerato come un momento di celebrazione di tutte quelle donne che negli anni hanno lottato per rivendicare e conquistare i propri diritti e che grazie al loro coraggio hanno raggiunto traguardi fondamentali seppur non sempre riconosciuti. In effetti l’8 marzo è meglio definita come la “giornata internazionale dei diritti della donna”. Negli anni sono stati fatti molti passi avanti, ma la donna, purtroppo, non ha ancora raggiunto l’effettiva parità di genere. Troppe donne, pur svolgendo lavori analoghi a quelli degli uomini, percepiscono stipendi minori; molte sono costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia; tante si trovano costrette a dover scegliere tra maternità e lavoro; moltissime altre sono costrette ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei figli, mentre altre ancora, non potendoseli permettere, sono costrette a rinunciare alla maternità senz’altra alternativa. Purtroppo si dà per scontato che tali rinunce debbano essere esclusivamente a carico delle donne, creando così culturalmente il presupposto per la negazione di molti diritti femminili. Nonostante l’emancipazione degli ultimi decenni, la donna rimane in una condizione di dipendenza economica nei confronti dell’uomo. Infatti, anche l’incapacità e la paura di molte donne di reagire a prepotenze, violenze e minacce da parte dei loro compagni, sono dovute sia alla mancanza di un’autonomia economica, sia da un patrimonio culturale legato al passato alla figura dell’uomo inteso come “padre – padrone”. Quindi, ridurre l’8 marzo ad una banale festa sarebbe offensivo nei confronti di tutte quelle donne a cui ancor oggi vengono negati persino i diritti fondamentali. Penso a quelle donne obbligate a prostituirsi, a quelle picchiate e segregate, alle giovani ragazze costrette a matrimoni combinati e spesso assassinate in caso di rifiuto, proprio com’è capitato a Saman, la diciottenne pakistana di cui tutti conosciamo la triste storia. Penso alle ragazze stuprate per le vie delle nostre città, alle donne violentate ed uccise tra le mura domestiche. Penso a tutte le donne che vivono in paesi in cui vige un regime dittatoriale ed ai loro diritti ogni giorno negati: le donne iraniane, disposte a morire per la propria libertà, com’è capitato a Mahsa Amini; le mie coetanee afgane ed iraniane, a cui viene imposto il divieto di frequentare la scuola, come Malala Yousafzai, fortunatamente sopravvissuta e premiata con il Nobel per la pace, nota per il suo impegno per il diritto all’istruzione e l’affermazione dei diritti civili. Penso alle donne ucraine, ai loro occhi pieni di lacrime, a quelle mamme che, con i loro piccoli in braccio, fuggono dalla guerra. Penso a tutte quelle donne che tentano la fuga dai paesi poveri, afflitti da fame, malattia e miseria, che trovano il coraggio di affrontare un viaggio in mare anche in condizioni meteorologiche avverse a bordo di barconi gremiti da tanti disperati, in cerca anche loro di un futuro migliore. Spero che l’8 marzo possa essere, per tutti, un giorno di profonda riflessione e mi auguro, che in un futuro non lontano, le donne vedano finalmente riconosciuti tutti quei diritti che, fino ad oggi, sono stati loro ingiustamente negati.

Niccolò Lorusso