La vita e le caratteristiche dei rettili e degli anfibi (prima parte)

1. STORIA E CARATTERISTICHE GENERALI DEI RETTILI E DEGLI ANFIBI

Gli anfibi sono il frutto di milioni di anni d’evoluzione di una forma di vita molto particolare, i pesci polmonati, ossia i primi pesci che tentarono di vivere sulle terre emerse durante il Carbonifero. I rettili, invece, sono il risultato dell’evoluzione dei primi anfibi (chiamati stegocefali) ed ebbero un successo evolutivo molto superiore rispetto ai loro antenati.

Questi animali sono tra i più sofisticati al mondo e sfoggiano diverse forme in ogni contesto. La loro caratteristica principale, però, è una sola: sono a sangue freddo; ciò vuol dire che hanno bisogno di una fonte di calore costante dalla natura (quale può essere una roccia calda, un tronco o il tratto di un ruscello illuminato dal sole) per regolare la propria temperatura interna e rendere così possibile il funzionamento metabolico nei loro corpi.

2. DIETE

In linea di massima gli anfibi, come rane, rospi, tritoni e salamandre, si nutrono di piccoli animali quali insetti e altri piccoli invertebrati.

Ma ci sono delle eccezioni…

In Africa vive l’anuro più grande del mondo, la rana toro, capace di inghiottire interi pulcini, ratti e in casi rarissimi anche piccoli cuccioli di cane.

Dyxicephalus adspersus

I rettili sono molto più “accontentabili” dal punto di vista alimentare. Ci sono iguane, per esempio, che mangiano fiori di gelso e di ibisco ai tropici; ci sono testuggini che nelle isole più soleggiate mangiano anche gli arbusti più secchi e duri; ci sono i serpenti, che sono utili all’agricoltura poiché mangiano tonnellate di roditori ogni anno; ci sono i gechi e le lucertole, che sono prevalentemente insettivori ma che non disdegnano di cibarsi di alcune specie di carogne e di frutta; ci sono i coccodrilli e gli alligatori, che fanno una gran festa con gli animali vivi che trascinano in acqua. A differenza dei suoi possenti cugini c’è poi anche il gaviale, una specie di piccolo coccodrillo che si nutre prevalentemente di pesce, non avendo mascelle così grandi da permettergli di trattenere, masticare e ingoiare prede troppo voluminose.

Gaviale del Gange (Gavialisgangeticus).

3. CURE PARENTALI

I rettili e gli anfibi in genere non sono genitori troppo “affettuosi”: molti di loro, infatti, preferiscono abbandonare i propri nidi subito dopo aver deposto le uova. Eppure c’è anche chi rischia la propria vita per proteggere le uova appena deposte e per insegnare le tecniche di sopravvivenza basilari ai propri piccoli. Alla prima categoria appartengono la maggior parte delle rane, dei rospi, delle lucertole e dei gechi, come – per esempio – il geco leopardino, uno splendido geco terricolo della famiglia Eublepharis (di cui sono orgoglioso di possedere un esemplare femmina), che abbandona le proprie uova subito dopo la deposizione.

La mia è ancora una “cucciola”, abbastanza gracile e non più lunga più di 15 cm; una volta cresciuta, dovrebbe raggiungere una lunghezza di circa 20 cm e dovrebbe cambiare, muta dopo muta, l’ordine della sua pigmentazione fino a raggiungere un aspetto molto simile all’esemplare dell’immagine successiva, caratterizzato da colori più vivaci e da macchie più accentuate.

Eublepharis macularius.

Ma chiudiamo la breve parentesi sul geco leopardino e continuiamo a parlare di chi può essere considerata una buona madre nel mondo dei rettili e degli anfibi. Tra i rettili possiamo ricordare senza dubbio la mamma pitone reale (Python regius), la mamma scinco del sole (Eutropis longicaudata) e la mamma coccodrillo del Nilo (Crocodrylus niloticus); tra gli anfibi ricordiamo soprattutto alcune amorevoli rane come la rana toro africana (Dyxicephalusadspersus), le rane Dendrobates, la rana di Darwin (Rhinoderma darwinii), la rana Rheobatrachus vitellinus e la rana Pipa pipa.

Curiosi? Bene! Procediamo!

3.1 LE CURE PARENTALI DEL PITONE REALE

Quando parlo di serpenti la maggior parte delle persone, a causa di sciocchi pregiudizi o di scarsa informazione, iniziano a guardarmi con aria strana.

Tutti immaginano questi meravigliosi animali come dei mostri viscidi e senz’anima. Beh, non è affatto così. Basti pensare agli insospettabili atti di dolcezza che alcune specie compiono verso i propri figli. A questo proposito, la mamma del pitone reale è davvero fantastica: dopo la deposizione delle uova non abbandona il nido, bensì si mette a covare! Questo comportamento non è affatto vantaggioso per lei, poiché le fa esaurire la maggior parte delle energie senza che sia davvero necessario, visto che le uova potrebbero anche cavarsela da sole, ma con un aiutino di più… ovviamente è meglio. La cova avviene in maniera molto strana: la madre fa vibrare i suoi muscoli pettorali facendo in modo che essi rilascino calore destinato ai suoi piccoli non ancora nati.

3.2 LE CURE PARENTALI DELLO SCINCO DEL SOLE

Questo piccolo scincide, abitante delle foreste tropicali del sud-est asiatico, è noto per l’impegno con cui difende le sue uova dall’attacco dei predatori. Alcuni giorni dopo l’accoppiamento, la femmina depone le uova nelle cavità di un albero e rimane a difenderle ad ogni costo dai serpenti mangia uova, utilizzando la lunga coda e qualche bel morso sul muso dello sfidante.

3.3 LE CURE PARENTALI DEL COCCODRILLO DEL NILO

E se vi dicessi che anche uno dei predatori più formidabili e spietati dell’intero regno animale è capace di atti teneri verso la propria prole? Non vi mentirei, bensì vi starei parlando della più tosta di tutte le mamme sul nostro pianeta: la femmina del coccodrillo del Nilo.

Si tratta di un’anima gentile, che accetta persino di “fare amicizia” con gli occhioni, una specie di uccelli trampolieri, stringendo con loro un patto di simbiosi: essi, infatti, si aiutano a vicenda per proteggere i loro nidi dai predatori. Quando la mamma coccodrillo è distratta, gli occhioni la avvisano di un eventuale pericolo gracchiando e lei risponde accorrendo e scacciando in maniera più o meno violenta il predatore.

Occhione (Burhinus oecdicnemus)

Per quanto riguarda le tecniche di difesa, mamma coccodrillo dà prima un morso di avvertimento (chiamato “mock bite”), poi – se il predatore non comprende l’avvertimento iniziale – uno fatale (chiamato “hard bite”).

Il nido è sviluppato in maniera grossolana ed è costituito per lo più da giunchi e fango.

Quando i piccoli coccodrilli sono pronti ad uscire, lo comunicano alla madre emettendo forti stridii; allora la madre, con la bocca, li aiuta ad uscire sani e salvi dal guscio dell’uovo e li fa entrare delicatamente proprio nella sua bocca, per metterli al sicuro dai numerosi predatori che li considerano una vera prelibatezza. Viaggiando ben protetti su questo particolarissimo “pullman”, i piccoli vengono trasportati fino allo stagno più vicino, dove tutta la famiglia si riposa. La fase in cui la mamma afferra dolcemente i piccoli si chiama Grabbing up.

3.4 LE CURE PARENTALI DELLA RANA TORO AFRICANA

Le cure parentali della rana toro riguardano più i papà che le mamme: iper-protettivo e irascibile, infatti, il maschio della rana toro è un ottimo bodyguard per i suoi girini, che difende anche a costo della sua stessa vita. Inoltre, unendo la sua forza alla sua notevole intelligenza, esso tiene costantemente d’occhio la pozza d’acqua in cui la femmina depone le uova e, se questa va in secca, scava con le sue grandi zampe dei veri e propri canali verso altri specchi d’acqua, in modo da far entrare più acqua possibile nella pozza originaria.

Ve lo sareste mai aspettato?

3.5 LE CURE PARENTALI DELLE RANE FRECCIA

Le Dendrobates, più conosciute come rane freccia, sono dei piccoli anuri sud americani che vivono nelle foreste pluviali. Le femmine depongono le uova – che si schiudono nel giro di un mese circa – in alcune ‘’piscinette’’ ricavate dalle attaccature delle foglie che si riempiono di acqua piovana, data l’intensità delle precipitazioni del Sud America.

Ogni volta che la piscinetta occupata diventa troppo piccola per i girini o che scarseggia d’acqua, la mamma va alla ricerca di una nuova. E per trasportare poi i girini? Semplice, li prende letteralmente sul dorso per portarli da un luogo all’altro. Durante il periodo della crescita, infine, essa depone appositamente uova non fecondate per nutrire i suoi piccoli nel modo migliore.

Piccola curiosità: queste rane si chiamano rane freccia perché assumono una grande quantità di tossine dagli insetti e dagli acari velenosi di cui si cibano. Questa loro caratteristica è nota agli indigeni brasiliani, che non a caso spargono sulle frecce le tossine che prelevano da esse per immobilizzare più facilmente gli animali da cacciare.

3.6 LE CURE PARENTALI DELLA RANA DI DARWIN

Anche in questo caso il ruolo più importante nelle cure parentali lo svolgono i papà. La rana di Darwin adotta forse una delle strategie più strane del regno animale per proteggere i suoi piccoli: dopo l’accoppiamento, il maschio sorveglia e protegge le uova deposte dalla femmina fino a che non nota gli embrioni muoversi all’interno di esse; a quel punto li inghiotte ponendoli all’interno della sacca vocale, organo che serve a tutti gli anuri per gracidare.

Vengono così alla luce dei bei ranocchietti già formati e indipendenti, che il padre sputa quando sente che iniziano a formarsi.

Purtroppo, però, nessuno è perfetto: durante la metamorfosi dei girini, il povero papà della rana di Darwin non può mangiare, particolare che si può rivelare un serio problema per ovvie ragioni.

Da adulti, i maschi sfoggiano un mantello verdastro ben accentuato e un bel ventre marrone scuro.

Il muso è molto appuntito e gli occhi sono barrati da un’iride nera orizzontale.

3.7 LE CURE PARENTALI DELLA RHEOBATRACUS VITELLINUS

Non molto tempo fa esisteva una rana chiamata Rheobatracus vitellinus, la quale cresceva i suoi girini all’interno del suo stomaco, che a tal scopo era inattivo. Oggi questa creatura, purtroppo, si è estinta a causa di un fungo parassita che ne ha sterminato tutti gli esemplari.

3.8 LE CURE PARENTALI DELLA PIPA PIPA

L’ultimo anfibio di cui parleremo in questo capitoletto è il rospo del Suriname (Pipa pipa). La mamma dei ranocchietti di questa specie è l’unico anuro in grado di inglobare le sue uova, dopo averle deposte, nella pelle del dorso, dal quale poi escono dei piccoli rospetti già formati e indipendenti lunghi 2,5 cm circa, che continuano ad essere sorvegliati dalla madre.

Dopo aver lasciato uscire i girini, la mamma fa la muta per liberarsi della pelle bucherellata.

3.9 LE CECILIE (Piccola sorpresina finale)

Vi chiamate Cecilia?

Se sì, dovreste andarne fiere perché questo è anche il nome di un anfibio apode molto particolare. Dopo la deposizione, mamma cecilia protegge le sue uova avvolgendosi ad esse. Quando i piccoli si schiudono, iniziano a nutrirsi della pelle della mamma per crescere sani e forti. Le cecilie appartengono ai gimnofioni, un gruppo di anfibi vermiformi. Sono tra i pochi anfibi a presentare un sistema di fecondazione interna.

Continua….

Giovanni Deperte

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