Nello spazio di uno sguardo. Intervista a Marina Leo.

Tutti noi che abitiamo nel quartiere Poggiofranco siamo entrati almeno una volta nella libreria Quintiliano e abbiamo trovato Marina, che ci ha accolto con il suo sorriso gentile. 

Oggi, in attesa di partecipare alla presentazione del libro “Piccole storie di grandi donne tra Bari e Bitonto” , le abbiamo rivolto alcune domande per capire come nasce la sua libreria e cosa rappresenta per lei.

Ha sempre desiderato aprire una libreria o da ragazza aveva altri progetti per il suo futuro?

Da ragazza ho frequentato il Liceo Artistico e poi mi sono diplomata all’Accademia di Belle Arti: avevo il sogno di lavorare in quell’ambito oppure di diventare veterinaria. Poi, sono stata contattata da un’amica che mi ha offerto di aiutarla qui, in libreria, e quindi, grazie a lei, ho deciso di continuare a lavorare in questo campo. 

L’amore per i libri è venuto con il suo lavoro o già lo aveva?

Quello per i libri è un amore che coltivo da sempre e per questo amo profondamente il mio lavoro.

Oggi è 8 marzo e si parla un po’ ovunque della “Festa delle donne”. Qual è secondo lei il libro più incisivo riguardo la parità di genere?

Ce ne sono diversi. Uno che porto nel cuore è “Una stanza tutta per sé” di Virginia Wolf, che, con questo romanzo e con “Le tre ghinee” , è stata antesignana del movimento femminista.

Qual è invece il libro che ha amato di più quando era ragazza?

Jane Eyre, il romanzo di Charlotte Bronte che racconta la storia di una bambina orfana e di umili origini,  costretta ad affrontare tante difficoltà. Non si farà piegare dalla vita, però: diventerà un’istitutrice e, dopo molte peripezie, incontrerà l’amore.

Mi hanno conquistato la sua tenacia e la sua forza.

Due storie di donne, dunque. Oggi si festeggia proprio la  Giornata della donna, e lei ha deciso di ospitare uno degli eventi che WeAreinBari e il Municipio 2 hanno organizzato proprio per parlare di donne. Qual è il motivo per il quale ha deciso di partecipare a questo evento?

La libreria Quintiliano rappresenta da tempo un punto di riferimento della vita del quartiere, e quindi sono sempre felice di metterla a disposizone per eventi culturali come questo, per il quale dobbiamo ringraziare Piero Meli e il Municipio 2 el Comune di Bari, nella persona di Alessandra Abbatescianni.

Cosa pensa della “Festa della donna”?

Non mi piace pensare alla “festa” della donna, ma piuttosto alla giornata in cui si parla dei diritti delle donne. La parola “festa” indica un bel momento, un momento in cui le donne vengono valorizzate, ma che poi finisce per lasciare il posto alla situazione precedente, che non sempre ci vede rispettate e con le stesse opportunità degli uomini, purtroppo.

Questo evento, invece, nasce per parlare di donne e promuovere la cultura del rispetto e della parità di genere. Inoltre mi è piaciuta l’idea di crare un legame con le altre donne del quartiere, con le quali ho condiviso la partecipazione a queste inziative culturali delle quali ringrazio Piero Meli e il Municipio 2 del Comune di Bari.

Il mondo dell’editoria è più maschile o più femminile?

Nel mondo dell’editoria sono ugualmente rappresentate sia le donne che gli uomini.

Per concludere, cosa le piacerebbe che la sua libreria rappresentasse per il quartiere Poggiofranco?

Un ricordo, il ricordo di un  posto bello nel quale ci si possa recare per sentirsi bene.

Luca Delle Grazie Elisabetta Romanini

Come un clown

Giovedi 10 novembre, abbiamo avuto l’opportunità di assistere alla presentazione del libro “Come un clown” , che si è tenuta presso il palazzo del consiglio regionale della Regione Puglia.
L’autrice, Simona Giordano, ha 43 anni, è insegnante e ricercatrice universitaria.
Il libro tratta il delicato tema dell’ anoressia, che Simona Giordano, autrice del libro, oggi insegnante e ricercatrice universitaria, ha vissuto in prima persona.
Da ragazzina, infatti, ha iniziato a soffrire di disturbi alimentari di cui, per diverso tempo, non è stata consapevole. Ci ha raccontato che nel momento in cui le venne diagnosticata l’anoressia, lei era già cosciente di soffrirne, ma non capiva ancora di aver bisogno dell’aiuto altrui , e di dover trovare il coraggio di condividere ciò che stava vivendo.
Il coraggio dobbiamo trovarlo in noi stessi- ci ha detto.
E lei questo coraggio l’ha trovato quando si è trovata a 650 chilometri da casa, ricoverata d’urgenza a causa della condizione alla quale l’aveva portata la malattia: stava per morire!
Durante il ricovero ha incontrato una fotografa che si trovava lì per realizzare un servizio sulle persone affette da disturbi dell’alimentazione: Simona Ghizzoni, così si chiama, diventò in seguito una sua grande amica e le propose di progettare insieme un libro: tu metti le immagini, io le parole- le disse.
Il libro è stato realizzato, e racconta come si vive, quando si è affetti dall’anoressia .
Ascoltare dalla voce della diretta interessata la sua storia e la genesi del libro è stata un’esperienza davvero significativa, molti momenti resteranno scolpiti nel nostro cuore.
Uno è quello nel quale Simona ci ha spiegato che il titolo del libro è dovuto al fatto che a lungo si sia sentita come un clown: con il sorriso stampato in faccia, un sorriso che, però, spesso nasconde dolore e malinconia.
L’altro momento è stato quello in cui ci ha raccontato che il giudizio degl’altri è come il cioccolato fondente, amaro, che si attacca al palato: è qualcosa che ci piace, ci serve e desideriamo, ma poi resta attaccato e non riusciamo a liberarcene …
Simona ci ha raccontato anche di come sia facile dire che la società affibbi delle etichette che difficilmente riusciamo a toglierci e che qualche volta anche noi stessi lo facciamo, finendo per diventare pericolosi per noi stessi; per esempio, quando si ha l’anoressia, è comune dire :“io sono anoressico”, mentre l’anoressia è solo qualcosa che ci sta accadendo. Dice Simona: ” io non ero anoressica, ero Simona e avevo l’anoressia “.
L’autrice ci ha spiegato, inoltre, che quando si soffre di un disturbo mentale si tende a voler star da soli, aspettando che siano gli altri a notare il nostro sconforto e a venirci incontro , cosa che spesso,
però, non accade : condividendo la sua esperienza , lei ci ha fatto capire una cosa fondamentale, e cioè che siamo noi a dover chiedere l’aiuto di cui abbiamo bisogno .
Anche se il libro aveva come tema un argomento forte, partecipare all’incontro è stato bello: abbiamo avuto l’occasione di ascoltare una persona che ha vissuto in prima persona questi problemi e di riflettere su tante situazioni, magari meno gravi, che riguardano tanti di noi.

Luca delle Grazie e Elisabetta Romanini