La lotta dei giovani per la parità di genere

In questi giorni siamo stati raggiunti da terribili notizie riguardanti la morte di donne uccise dai loro compagni o mariti e allora in molti  sentiamo la necessità di parlare di parità di genere e dell’importanza della donna nella società.

Cos’è veramente la parità di genere?

La parità di genere è un diritto fondamentale e inviolabile, oltre che la base per un mondo pacifico, ma, nonostante ciò, ancora oggi sono troppe le donne che subiscono discriminazioni e violenze in tutto il mondo.

Purtroppo anche il nostro paese, che ha una costituzione che riconosce la parità tra uomo e donna, è interessato da questo problema. Nel 2020 l’Italia si è posizionata al 76esimo posto nella classifica mondiale elaborata dal World Economic Forum per analizzare il divario di opportunità  tra uomini e donne.

Tale divario è stato misurato in base a quattro fattori differenti ovvero: partecipazione e opportunità economiche, salute,  sopravvivenza ed emancipazione politica.

Tra questi ultimi il dato più preoccupante riguarda, a mio parere, proprio quello della partecipazione economica delle donne: infatti il 61,5% delle lavoratrici italiane non è pagato adeguatamente mentre solo il 22,9% degli uomini subisce lo stesso trattamento. Come si può essere pari se non si hanno le stesse opportunità nel mondo del lavoro? Forse non si vuole che le donne siano indipendenti e occupino ruoli importanti?

Se non è così, perché una donna dedica lo stesso tempo dell’uomo al lavoro e svolge pari mansioni non ha il diritto di essere retribuita quanto lui? Perché quando vediamo una donna a capo di un’azienda rimaniamo ancora perplessi? Perché la parola “chirurga” suona strana? Perché una donna non può essere libera di aspirare ad una carriera lavorativa che la porti a ruoli importanti o prestigiosi, ma ancora deve essere costretta a dividersi affannosamente tra lavoro e famiglia?

La verità è che ci sono tante domande, ma poche risposte.

Poche risposte perché noi spesso non le cerchiamo, ci arrendiamo all’evidenza dei fatti e non facciamo nulla per tentare di cambiare davvero ciò che c’è di sbagliato nella nostra società. Per non parlare di quello che succede alle donne di alcuni paesi come l’Algeria, dove vengono violentate e uccise, come l’ Afghanistan, dove sono “sepolte” in un burqa, o in Iran, dove vengono uccise se una ciocca di capeli esce dal velo…

Ci sono ancora tanti paesi nei quali alle donne non vengono riconosciuti diritti fondamentali: quello allo studio e all’istruzione, quello al lavoro fuori casa, quello di muoversi liberamente, di essere curate, di avere delle leggi che le tutelino.

Condivido in pieno il pensiero di Concita De Gregorio, secondo la quale la parità di genere è ancora lontana soprattutto in alcuni paesi. E’ necessario un radicale cambiamento culturale: “il silenzio uccide quanto un coltello o una pistola……le leggi servono ma non bastano… “Per avere un cambiamento culturale è necessario che si affronti questo argomento a tutti i livelli, nelle scuole, sui posti di lavoro, sui giornali e soprattutto in famiglia. Le donne da sempre educano anche generazioni di uomini. Forse le donne per prime devono interrogarsi sui valori che quotidianamente trasferiscono ai propri figli attraverso le proprie parole o le proprie azioni. Si tratta di scardinare un pregiudizio che fa parte della cultura dell’essere umano… e non è facile. Inoltre, laddove ci sono anche delle leggi a tutela delle donne o siano presenti dei centri antiviolenza, spesso la condizione sociale ed economica di tante donne non permette loro di esserne a conoscenza, di poterne usufruire o più semplicemente di vincere la paura e di fare ricorso. Di strada ne è stata fatta tanta, ma, evidentemente non abbastanza.

Adesso a noi, nuove generazioni, portare avanti una seria battaglia che aiuti a raggiungere la completa parità di genere nei paesi più evoluti e che faccia fare un radicale passo in avanti ai paesi nei quali le donne ancora subiscono ciò che non è più tollerabile.

Si parla tanto di globalizzazione, di aiuto reciproco, ma quando si tratta di problematiche sociali importanti come quella della donna tutto si ferma. Chiediamoci perché e forse le cose cambieranno davvero.

Elisabetta Romanini

“Normale non è altro che il nome di un ciclo su una lavatrice”. Riflessioni di una tredicenne che ama la perfezione

La nostra società si basa su stereotipi, uno di questi è il concetto di normalità: un’etichetta che fa riferimento a comportamenti, idee, caratteristiche che vengono definite o considerate “adeguate” e quindi giuste.

Oggi, a tredici anni, anche grazie alle esperienze vissute in questi tre anni di scuola media, posso affermare che la “diversità ”  nel vestire, nel modo di essere  o di vivere può essere ed è un valore.

Uno dei miei più cari amici è un ragazzo diversamente abile. Ho frequentato con lui la scuola materna, è autistico.

Ricordo quando aveva delle crisi e perdeva il controllo: non capivamo cosa gli accadesse, e non capire non aiuta mai, neppure quando si è piccoli.

Tutti noi abbiamo imparato, grazie alla sua maestra, al tempo e anche all’affetto che abbiamo ricevuto da lui, che quando aveva questi attacchi dovevamo stare in silenzio. Eravamo piccoli e non riuscivamo a capire bene il perché, eppure lo facevamo.

Di lui, però, non ricordo solo le crisi, ma anche la dolcezza, la bontà, la simpatia, l’ intelligenza e la straordinaria memoria: accipicchia come era a bravo a giocare con il Memory!!! E quanto ci siamo divertiti!

Ebbene, con il percorso che insieme ai miei compagni ho fatto in questi tre anni di scuola media, sono finalmente consapevole, e i comportamenti che adottavo senza comprenderne bene le ragioni, ora li adotto coscientemente: sono certa che qualunque “lui” entrasse a fare parte della nostra classe, del nostro gruppo di amici, noi saremmo in grado di  accoglierlo senza apporgli etichette.

Del resto siamo tutti pieni di pregi e difetti, tutti diversi e al tempo stesso normali: la normalità di ciascuno è la vera normalità, e allo stesso tempo la perfezione!

Questo è il nostro slogan ed è proprio quello su cui abbiamo scelto di lavorare nel bellissimo progetto “Abbecedario della cittadinanza democratica”, al quale la nostra scuola ha partecipato insieme a molte altre scuole di Bari.

In fondo, come ha dichiarato l’attrice Whoopie Goldberg “il normale è negli occhi di chi ci guarda. Normale non è altro il nome di un ciclo su una lavatrice”.

Elisabetta Romanini

Chiara Ferragni a Sanremo: opinioni a confronto

Martedì, come tutti o quasi sappiamo, c’è stata la prima serata del Festival di Sanremo, e l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni è stata la co-conduttrice insieme ad Amadeus e Gianni Morandi.

In un momento interamente dedicato a lei, ha presentato un monologo rivolto a se stessa bambina che ha diviso il web in due schieramenti: a molti, infatti, non è piaciuto ritenendolo “egocentrico”; altri, invece, le hanno scritto tantissimi messaggi di apprezzamento.
L’argomento principale è stata l’emancipazione femminile e la paura di non essere mai abbastanza.
Ha fatto molto scalpore l’abito che ha voluto indossare durante il monologo per dimostrare che la donna non deve mai vergognarsi del suo corpo: pur disegnato, appariva come trasparente e mostrava l’immagine del suo corpo esile.
Mi chiedo: avere un bel corpo, come quello della Ferragni, o almeno un corpo che risponde perfettamente all’ideale di bellezza di questo momento storico, e mostrarlo in pubblico sostenendo che nessuna donna si debba vergognare di mostrare il proprio corpo come andrebbe interpretato? Chiara Ferragni si sarebbe mostrata in pubblico con quel vestito se il suo fisico non fosse stato così adeguato agli stereotipi di oggi?
Ascoltando le sue parole cosa avranno pensato le donne non appartenenti alla categoria “Chiara Ferragni”? Si saranno sentite rappresentate oppure no? Avranno condiviso il suo messaggio?
Personalmente penso che gli abusi, le violenze non sempre sono le conseguenze di un corpo che si mostra. Tante donne subiscono violenze pur indossando abiti meno appariscenti o provocanti. Ciascuna donna deve diventare consapevole di poter vivere nel proprio corpo senza timore.

Bisogna combattere il pregiudizio e le violenze insegnando il rispetto della diversità. L’abito indossato dalla Ferragni mi sembra un modo esagerato e inadeguato per difendere la libertà delle donne.
Sicuramente questo è stato uno dei tanti gesti che hanno come al solito fatto parlare di lei.

Elisabetta Romanini