Tina Anselmi

Un nome battagliero e una vita al servizio della democrazia

Martedì, 25 aprile 2023: Giornata della Liberazione.

Per alcuni giovani studenti, un semplice e fantastico ponte. “Beati noi che abbiamo avuto una giornata di vacanza, evviva i partigiani!!”.

Per l’occasione, sul primo canale della Rai, tra i pochi canali principali ad aver voluto essere in tema, è stato trasmesso il film biografico su Tina Anselmi, una ex-Ministra del Lavoro e della Salute di un governo passato.

Perché mai ci dovremmo interessare alle vicende passate di una ministra?

Perché, a nome di questi partigiani del secolo scorso, riceviamo in regalo una vacanza? 

“Bella Ciao”, una bella canzone, orecchiabile, l’avevano cantata loro per primi!              

Chi festeggia ancora la Liberazione, i vecchi patriottici che si radunano sulla piazza della Prefettura? Ha senso ancora festeggiare?

Proviamo a pensare. Abbiamo questa libertà, dopotutto.

La nostra Tina fu un’adolescente in una provincia modesta di Bassano del Veneto, nel 1944. Il suo ruolo nel film è interpretato dall’attrice Sarah Felberbaum, nei panni di una sedicenne. Dà all’occhio vedere una donna matura indossare il grembiule scolastico di una studentessa liceale, ed essere trattata come una ragazzina.

Ma possiamo chiudere un occhio, perché le vicende di Tina sedicenne verranno presto accantonate, per dare spazio ai suoi futuri meriti.

Come dire, l’attrice prenderà presto l’età corrispondente alla quarantenne ministra Tina.

Per ordine delle forze tedesche, gli studenti della scuola della giovane Tina furono obbligati a vedere i corpi dei prigionieri impiccati sugli alberi, lungo la strada.

Vittime dell’Operazione Piave 1944 compiuto sull’area del Grappa.

Su un uomo è appesa la targa “BANDITO”.

Una delle vittime fu il fratello di una compagna di Tina, la quale precipitò ai piedi dell’albero, colta dal dolore.

Scena: la ragazza addolorata viene portata via dalle sue compagne, sotto minaccia dei soldati.

Tina si rese conto che le scelleratezze dei nazifascisti arrivavano sempre più vicine a lei,  che fino a quel momento non aveva voce in capitolo, colpendo anche persone familiari. Invece di averne paura, prese atto e si unì ai partigiani come staffetta.

Arrivato il ‘45, l’Italia poteva dirsi liberata e un referendum popolare decretò la repubblica nel 1946.

Tina aveva combattuto per la libertà e la democrazia in Italia. Ancora giovanissima, entrò in politica, decisa a costruire quella libertà e una democrazia effettiva.

“Non c’è democrazia senza giustizia. La gente ha fame, vuole capire o no?” – dichiara la sua collega sindacalista Francesca Meneghin, durante una riunione con la Democrazia Cristiana.

Tina aiutò le operaie delle filande di Castelfranco ad essere consapevoli dei loro diritti. Conseguì una laurea in Lettere, iniziando a fare la maestra. Si mise a disposizione per insegnare l’alfabeto gratuitamente alle donne lavoratrici, facendole solo promettere di mandare le loro future figlie a scuola, proprio come i figli maschi.

“Tutto qui?” – chiese incredula un’operaia.

“Un’altra cosa: siamo tutte nate sotto il fascismo, ed abbiamo lottato per la democrazia, che è la forma di governo più bella che c’è!” – Tina fece una pausa – “Ma anche la più faticosa, perché vuol dire che tutti noi dobbiamo fare qualcosa, nessuno di noi si può disinteressare”.

Era più comodo seguire le regole della dittatura fascista, piuttosto che darsi delle proprie regole. Si rimaneva beati nell’ignoranza e nell’indolenza, eppure facilmente vittime di cattive decisioni prese da un uomo forte.

L’Italia democratica si costruisce con il lavoro e l’istruzione di ciascun cittadino, cosicché il potere decisionale passa attraverso setaccio di più persone volenterose e competenti.

Il ’76 vide la sua prima Ministra del Lavoro del lavoro donna in Tina.

Scena: la nipote di Tina legge il giornale. “La Ministro al Lavoro”.

E grazie alla sua voce venne garantito per legge alle donne il principio delle pari opportunità, fu abolito il licenziamento per matrimonio o gravidanza e fu garantita stessa retribuzione nello stesso.

Tina fu di seguito anche Ministra della Salute.

Dopotutto, non c’è lavoro fatto bene senza la propria salute.

A lei dobbiamo la riforma Basaglia, che chiuse i manicomi e restituì dignità ai malati di mente, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), il riconoscimento delle malattie del lavoro come l’asbestosi, la scelta dell’aborto non negata (detto da lei, fervente cattolica).

Aveva ben inteso che la religione non fosse una questione politica, e che la politica fosse un affare concreto, laico e materiale basato su esperienze attuali dell’umanità, le quali possono cambiare con la storia. Dobbiamo ricordarci che uno Stato di legge nasce dalle nostre convinzioni morali messe su carta, non viceversa.

L’81 sconvolse la politica italiana e l’opinione pubblica: venne a galla una lista lunga, ma incompleta di membri di una loggia massonica, la Propaganda Due (P2). Fu una sorta di rete sociale che mirava a dirigere uno Stato nello Stato, tessendo contatti tra diverse figure fra cui politici di alto rango, banchieri e militari dei servizi segreti.

L’organizzazione occulta fu campeggiata da un certo Licio Gelli, di passato fascista e fu sospettata di aver fomentato il terrorismo nero nell’Italia degli Anni di Piombo. L’obiettivo finale della loggia sarebbe stato quello di creare uno Stato autoritario mediante l’utilizzo dell’informazione e della sua rete di conoscenze.

Lo stesso anno venne creata una Commissione Parlamentare d’inchiesta, dalla presidente della Camera dei deputati Nilde Iotti. A capo venne nominata Tina Anselmi.

“Dalla fine degli anni ’60 l’Italia diventa il paese dei misteri irrisolti” – Tina commentò con la sua ex-collega sindacalista di una vita. Le stragi e gli assassinii sembravano tutti collegarsi in qualche modo alla P2 – “Da giovani pensavamo che bastasse votare per vivere in un paese di vetro”.

“Ma se abbiamo mandato via i fascisti, perché non dobbiamo farcela con questi?” – rispose Francesca con l’impeto di sempre.

Cinque anni dopo, nell’86, venne pubblicata la relazione finale della Commissione da Tina. La giustizia venne lasciata a seguire il suo corso.

La Commissione si sciolse, Tina uscì dal lavoro verso il tardo pomeriggio. Si incamminò su un ponte di Roma, abbassando lo sguardo sorridendo ad un passante che la riconobbe. Proseguì il passo, alternando la borsa dei documenti nell’altra mano per alleviare il peso, con lo sguardo stremato, rivolto nel vuoto, ma pronta a continuare con il suo lavoro da deputata fino al ’92, quando si ritirerò per sempre dalla vita politica.

La giornata della Liberazione sarà forse un semplice ponte. Eppure, potrebbe essere anche un giorno rivolto alla presa di coscienza, al distogliersi dalla monotonia delle proprie abitudini ed accorgersi di quel treno che fischia da lontano:

“Viviamo in uno Stato democratico e abbiamo la libertà di pensare, di agire, di esistere nel benessere, e di criticare lo Stato qualora ce lo neghi! E perché ritorni uno Stato autoritario, coloro che lo desiderano, devono strisciare nel buio tra mille ostacoli legali.”

Nguyen Viet Tung (Liceo delle Scienze Applicate Margherita Hack)

In salotto, con Ghino

Piaceri della vita, noie mortali.

Versatevi una tazza di tè al latte e niente caffè.

Il nostro Ghino si confida.

Ci troviamo nel salotto barese del nostro protagonista, un giovane studente del Liceo Margherita Hack, classe 2000, generazione Z a tutti gli effetti che però, allo stesso tempo, si considera un Millennial onorario – come ci ha spiegato di seguito. È cresciuto fino ai sette anni d’età ad Hanoi città nella quale, pur essendo la capitale del Vietnam, le tendenze globali arrivavano con anni di ritardo rispetto al resto del mondo.

“Sono cresciuto con il Nokia 3310, quel blocco di mattone che chiami telefono cellulare”. – “E la musica elettronica là va ancora di moda, mentre il trap è sconosciuto”.

Sbarcato in terra pugliese, non sapendo neppure dove si trovasse sul mappamondo, ha cominciato a navigare ciecamente tra le nuove scoperte con gli occhi di un bambino, dalla connessione internet 4G, al bidet, alle patatine Lays gusto campagnolo e all’imparare a ricordarsi che la porta blindata di casa non si apre senza chiave da fuori.

“Per carità, da 0-5 anni, i bambini sono praticamente dei soprammobili. Dovevo ancora imparare tutto del mondo umano!”

Così, rompendo la barriera dell’inconsapevolezza infantile, si era fatto strada nella scuola media con impegno e determinazione, arrivando poi al liceo scientifico, scelto solamente perché era a due passi da casa e perché era un liceo, tra altro scientifico. Il giovane riferisce che in famiglia c’erano pregiudizi sulle altre scuole che non si chiamassero “liceo”. Ci ha spiegato tuttavia che sebbene fosse decisamente portato per le materie umanistiche e la scelta di un liceo classico sarebbe stata più opportuna, si era fatto convincere dal proprio fratello, uno studente di medicina, che “con lo scientifico” si poteva fare qualsiasi cosa nella vita, “anche lo spazzino”.

Fino all’ingresso nel triennio liceale, lo studente era ancora incerto sul mestiere col quale dilettarsi una volta diventato grande. Eppure, è proprio nella formazione scientifica che aveva scoperto il proprio amore per le materie umanistiche: “Grazie alla fisica!” – “Come la detesto.”

Ci racconta poi come, in ordine decrescente, le lezioni di italiano, di storia, di inglese, di filosofia, e per essere precisi anche di chimica e di biologia “si posavano” serenamente sulla testa dello studente liceale; invece, quelle di fisica ed informatica venivano scacciate via come mosche da un cervello in via di putrefazione.

“Metti il caso che al liceo classico mi avessero fatto odiare le materie umanistiche? Certo, sono anche i prof che te le fanno amare.” – “E per onestà, studio la fisica solamente per la prof. È amabile.”

Se non ci fosse stata quella professoressa, il giovane dice che avrebbe metaforicamente “posto fine al proprio calvario con del sonnifero”.

La tendenza verso le suddette materie parte dal piacere provato dallo studente nel leggere e raccontare delle storie, oltre che nel farsi dei film mentali. Che altro non è studiare la storia e l’italiano.

“Scrivere storie è come creare la vita. Ci puoi giocare come se fossi Dio che gioca alle case di bambole!” – “Oppure com’era quella citazione? ‘Scriviamo per gustare la vita due volte’”

Nondimeno, ci mostra anche il suo blocco di disegno, un altro suo passatempo, dove compaiono pagine dopo pagine volti umani e figure di personaggi. Tra cui anche illustrazioni per un gioco di ruolo fatto in casa a cui il nostro giovane sta lavorando. In realtà non ne è intenditore, ma si diletta.

“Non si smette mai di imparare, sì?”

Altri interessi?

“L’Eurovision? La prima cosa che mi è venuta in mente adesso. Che sarà trasmessa a maggio. Eventi cosmopoliti, cultura estera, lingue straniere: cose così mi interessano. Sicuramente devo fare l’Erasmus da qualche parte. Sono un temibile esterofilo.”

Il tempo ci sta sfuggendo un po’ di mano. Come vedi il tuo futuro?  

“Sicuramente farò l’università, facoltà di lettere moderne possibilmente. Il problema grosso sta negli esami di latino, visto che il Margherita Hack è celebre per essere un liceo dove non si insegna latino. Vorrei poi specializzarmi e diventare giornalista. Se vogliamo essere più fantasiosi, meglio dire più precari! – mi piacerebbe anche essere sceneggiatore per serie TV, per teatro, anche per videogiochi! Le serie ludiche Uncharted e Horizon Zero Dawn hanno il loro fascino per me, insieme ad una pepita d’oro nascosta chiamata Child of Light prodotta dalla Ubisoft Montréal, di una grafica davvero fiabesca.”

Il nostro protagonista Ghino conclude, senza troppe sorprese, che il suo futuro sarà segnato sicuramente dalla scrittura. “Al massimo, mi accontenterò dell’insegnamento, che sarà il mio “piano F”.

“Non so se sia un’idea sbagliata che mi sono fatto: insegnando alle elementari o alle medie, non potrei spiegare approfonditamente Foscolo e le sfaccettature dell’età napoleonica! Mentre al liceo lo potrei fare, sì, ma con una ventina di studenti in piena crisi adolescenziale, ai quali se non passo il ‘vibe check’, mi ritrovo sparato in testa con una pistola ad aria compressa. Per svolgere ciò devo essere pronto a rimanere soffocato da un mucchio di scartoffie e tantissime riunioni dei docenti. Sì, alla fine, ciò che conta è coinvolgere e invogliare gli studenti a compiere il proprio dovere con entusiasmo. Ma morire di un aneurisma cerebrale? Nel bel mezzo della lezione?”

Infinite grazie da parte sua alle professoresse e ai professori d’Italia.

Nguyen Viet Tung