Capitolo 1
Era una giornata di sole nella mia città, me lo ricordo come fosse ieri. Eravamo nell’anno 2776. Più precisamente era il 2 novembre 2776… il giorno in cui era iniziata l’apocalisse…
La scienza si era spinta troppo oltre; gli scienziati erano alla ricerca della cura per una rara malattia, ma quando finalmente vi erano risaliti qualcosa era andato storto. I pazienti che si erano offerti di provare la cura sotto forma di pillole avevano avvertito molti effetti collaterali, per fortuna non pericolosi… o almeno era questo che gli scienziati avevano detto alla popolazione. In realtà le cose erano andate in modo completamente diverso da come ce le avevano raccontate per rassicurarci. Infatti, nel giro di poco tempo, i pazienti che avevano fatto riscontrare gli effetti collaterali della pillola erano diventati dei veri e propri zombie e avevano cominciato a trasmettere la loro malattia alle persone mordendole; in questo modo gli infetti avevano assunto il controllo di tutto ciò che li circondava. Anche se il governo aveva messo a disposizione della gente celle di sicurezza in cui rifugiarsi, queste non avevano resistito alla forza dei contaminati, che avevano cercato in tutti i modi di forzarle. Solo alcuni fortunati si erano salvati, purtroppo: oramai la terra era un posto destinato solo ai più forti.
C’eravamo divisi in gruppi. I più forti avevano costruito accampamenti, i più deboli si erano limitati ad aspettare la morte. Io ero una delle poche persone sopravvissute a quella che ormai tutti definivamo “apocalisse”, ma non ero stata così fortunata da aver costruito un accampamento o da far parte di una comunità… No, io ero sola. E, sinceramente, me la cavavo benissimo da sola: vivevo in una piccola grotta e andavo in giro munita di un fucile da caccia per uccidere quei maledetti infetti. Loro erano delle creature senza scrupoli e avevano il solo intento di infettare altre persone.
Mi chiamo Aesira Nardon, e ancora oggi sono una dei sopravvissuti alla pandemia. Avevo solo undici anni quando uccisi il mio primo infetto e ora ne ho diciassette: è passato molto tempo dall’inizio di questo inferno. Sei anni… molti, vero?
Sì, me la sono cavata da sola per sei anni ma, visto che sono sempre cresciuta da sola fin da quando ero piccola, non mi sono mai fatta troppi problemi a vivere in solitudine. Ho avuto dei genitori, ma erano sempre impegnati con il lavoro; erano proprietari di numerose aziende molto note e non avevano tempo per me, anche se mi volevano molto bene e facevano tutto il possibile per stare un pò con me. Prima che tutto questo succedesse.
Un giorno, poiché avevo esaurito le scorte di carne e di acqua ed erano ormai due giorni che non mangiavo, decisi di andare a caccia di provviste ma non mi andò troppo bene, così andai a rubare in un accampamento vicino. Non era un campo molto grande ma era largo abbastanza per ospitare molte guardie. Per entrare dovetti distrarre le guardie che controllavano il cancello principale servendomi di fumogeni lanciati all’ingresso: così, mentre loro sparavano nel punto dove erano caduti i fumogeni, io mi intrufolai all’interno senza alcun problema. Poi, grazie ad una corda abbastanza resistente trovata qualche settimana prima in un accampamento abbandonato a sud della mia grotta, mi arrampicai sul tetto secondario del campo e calai nella sala delle provviste.
Da allora, ogni volta è stato sempre più facile entrarci. Vado sempre lì a prendere, anzi a rubare le provviste che mi servono, nessuna di quelle stupide guardie si accorge di me, mi so mimetizzare tra i fumogeni e ideare piani come poche persone sulla terra. Sapete, mi sono procurata così il mio fucile, il mio M16: l’ho rubato, sì, proprio da questo accampamento. E pensare che nessuno si accorge di me.
Una mattina mi infiltrai come al solito nella sala delle provviste per prendere del cibo; mi infilai tutto il possibile nelle tasche: c’era carne a volontà, acqua e addirittura del brodo caldo! Stavo per uscire dalla base, quando sentii dei fucili sparare. Per un attimo temetti che mi avessero scoperto, così caricai subito il mio M16. Solo dopo mi accorsi che una ragazza stava scappando nella mia direzione: era una ragazza alta e magra, con i capelli biondi molto lunghi e avvolti in una treccia; era vestita con normalissimi abiti da militare e dietro la schiena aveva un fucile da caccia quasi uguale al mio M40, o comunque simile ai fucili da cecchino. Non mi andava di lasciarla da sola, tanto più per il fatto che era inseguita da quelle schifose guardie – si capisce che le guardie non mi stavano affatto simpatiche, vero? Beh, credo sia normale, visto che quando avevo provato a cercare “regolarmente” rifugio in quell’accampamento mi avevano cacciato via, senza neanche ascoltarmi.
Gaia Brunetti