Al giorno d’oggi spesso noi ragazzi siamo letteralmente schiavi della tecnologia; quest’ultima è nata per migliorare la nostra società, ma molti di noi ne diventano dipendenti senza rendersene conto. L’uso eccessivo dei dispositivi elettronici è una vera e propria dipendenza, caratterizzata dal ricorso morboso a strumenti comuni e diffusissimi come lo smartphone o il computer.
Questo fenomeno interessa soprattutto la popolazione giovanile e causa degli effetti negativi come nervosismo, agitazione, mal di testa…
Molte volte, quando mi ritrovo con alcuni amici, noto come loro siano vittime e dipendenti da social come TikTok o simili tanto da non essere lì con me che sono davanti a loro, ma da divertirsi con persone che a volte neppure conoscono e che sono lontanissime.
Mi interrogo spesso sullo stato d’animo di coloro che soffrono di questo tipo di dipendenza: possono essere definiti felici? Sono sereni? Sono contenti del rapporto che hanno con se stessi e con gli altri? Si sentono parte della società in cui vivono?
Io credo che la risposta a tutte queste domande non è quasi mai positiva, perchè la necessità di utilizzare in modo spasmodico gli smartphone o i social media lascia trasparire una mancanza di benessere interiore e soprattutto la necessità di occupare il tempo perché sopraffatti dalla noia, dall’incapacità di fare altro, dalla superficialità dei rapporti.
Cosa possiamo fare per disintossicarci dagli smartphone, tablet, computer e da tutti gli strumenti tecnologici?
La risposta è tornare ad essere delle persone e non degli zombie, riscoprire la bellezza e la ricchezza della vita, prenderci del tempo per noi stessi, socializzare, passeggiare senza dimenticarci di guardare ciò che ci circonda. Insomma, riprenderci la nostra vita!
Soffro di balbuzie da sempre; quando ho imparato a parlare pronunciavo male alcune parole, e per questo i miei genitori mi hanno fatto seguire da una logopedista che ha cercato di aiutarmi a superare la balbuzie ma con me ha avuti scarsi risultati. Sono riuscito a migliorare solo con il tempo, “parlando”.
Comincio con il dire una cosa che può sembrare ovvia, ma che non lo è: chi non soffre di questo disagio, come di altri, non dovrebbe discriminare chi invece ne soffre, ma, se possibile, aiutarlo. Come?
Cercherò di darvi dei consigli per mettere a proprio agio il balbuziente.
Due cose, secondo me, sono le più importanti: non completare assolutamente le frasi, perchè sembrerà che vi stiate annoiando e farete sentire sbagliata la persona; non invitare a tirare un respiro perché questo non c’entra assolutamente niente. Inoltre bisogna evitare di chiedere di parlare più lentamente, perchè il balbuziente sta già facendo una fatica immane. Già questo è tanto…
Sarebbe utile, inoltre, che tutti gli insegnanti si informarmassero di più: è vero che non possono sapere tutto, ma dovrebbero almeno essere in grado di non aumentare il disagio di chi fatica a parlare.
Io stesso sono disposto a mettere a disposizione di ragazzi e insegnanti la mia esperienza perché insieme possiamo raggiungere un risultato importante!
Conoscere ciò che accade è sempre il primo passo per raggiugere un risultato, e allora voglio ricordarvi che la balbuzie non è una malattia ma un disturbo del parlato che consiste nel ripetere più volte la stessa sillaba.
Le forme di questo disagio sono tre: la tonica, la clonica e una forma mista delle due. La balbuzie tonica è caratterizzata da blocchi improvvisi e parossistici di emissione del linguaggio, per cui la persona non può cominciare un dato fonema o non riesce a superarlo per passare ad un altro.
La forma clonica si presenta con una ripetizione convulsiva di un suono, di una sillaba o di una parola, soprattutto all’inizio della produzione verbale o durante l’enunciazione della frase.
A causa della balbuzie, molti soffrono di ansia sociale, di glossofobia (deriva dal greco γλῶσσα glōssa, lingua, e φόβος phobos, paura o fobia) o ancor peggio diventano hikikomori (termine giapponese che significa “stare in disparte“), decidendo di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, a volte anni: rinchiusi nella propria abitazione, gli hikikomori evitano qualunque tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta anche con i familiari.
Le situazioni di disagio che vivono le persone affette da balbuzie sono molteplici: diventa difficile parlare con un amico, esporre una lezione o sostenere un esame, talvolta anche dire “presente” durante l’appello a scuola…
La persona, se non riesce a pronunciare una parola, si sente in enorme disagio e desidera solo smettere di parlare; quando riesce a non balbettare è letteralmente al settimo cielo.
Molti personaggi famosi che hanno superato le balbuzie hanno deciso di “parlare più forte degli altri”, tra loro ricordiamo Paolo Bonolis, Marilyn Monroe, il cantante pop Marc Anthony.
Perciò non abbiate mai fretta di raccogliere i frutti dei piccoli gesti: a volte diffondendo informazione come fa questo articolo inneschiamo onde come un sasso in uno stagno o un battito d’ali di un colibrì che può diventare un uragano.
Tante volte ho sentito dire “povero bambino”, tante volte ho visto sguardi tristi per qualche ragazzo o ragazza con disturbi specifici dell’apprendimento. Quanta rabbia dentro di me quando sono arrivate mamme che trattavano i propri figli con DSA come malati. Sono un tutor specialistico per Disturbi specifici dell’apprendimento e sono felice di essere in contatto con questi ragazzi GENIALI!. Sì, geniali, perché per chi non lo sapesse sono ragazzi e ragazze con un normale e a voltealto livello intellettivo! Certo ci sono casi molto diversi tra loro, alcuni dei quali con una maggiore compromissione di natura neurobiologica, dovuta anche ad un fattore di ereditarietà. Però bisogna porre fine agli atteggiamenti discriminatori, quindi proviamo a conoscere meglio i Disturbi specifici dell’apprendimento.
Ve li presento in poche e semplici parole.
Quali sono i DSA?
Un bambino o ragazzo con DSA può avere uno o più disturbi(quando sono più di uno si parla di comorbilità), a seconda della diagnosi degli specialisti preposti a tale indagine (neuropsichiatri infantili, neuropsicologi o logopedisti), e sono:
Dislessia
Disgrafia
Disortografia
Discalculia
Ma cosa sono nello specifico?
La dislessia: è un disturbo caratterizzato dalla presenza di difficoltà nella lettura, con errori frequenti ed eccessiva lentezza nel leggere, nonostante il bambino mostri un’intelligenza nella norma o a volte al di sopra della norma. Spesso i primi indicatori della dislessia si osservano con l’inizio delle scuole elementari, ed è necessario un intervento precoce per favorire un maggior senso di autoefficacia e autostima nel bambino. Riporto di seguito come appare ad un dislessico un testo scritto:
Fonte: Internet
Complicato vero? Chi è normodotato non può comprendere l’ansia e l’angoscia di questi ragazzi, che a volte per non fare una brutta figura si rifiutano di leggere. Ma sapevate che ci sono strumenti compensativi che vanno in loro aiuto? Ebbene sì! I DSA possono usare testi che hanno l’audiolettura, sistemi elettronici che leggono per loro, perché purtroppo questi ragazzi se leggono non riescono a comprendere ciò che leggono, soprattutto perché si stancano facilmente, per cui c’è bisogno di un supporto, o anche una persona, che legga per loro il testo. E vi dirò di più, il ragazzo può prepararsi già molto prima il testo (un testo breve per non farlo stancare) da leggere in classe, in modo tale che sappia gestire il momento. Certo leggerà con maggiore lentezza rispetto agli altri, ma se ci si mostra pazienti e fiduciosi ci riuscirà!
La disgrafia: interessa la scrittura di parole e numericon l’uso del segno graficoche può essere compromesso in modo lieve, medio o grave. La grafia risulta quindi disordinata, difficilmenteleggibile epoco chiara. Sono diversi i fattori che entrano in gioco, i principali sono:
Coordinazione occhio-mano.
Rapidità motoria.
Abilità motorie, come il pattern grafo-motorio, ovvero i movimenti svolti quando si scrive.
Capacità visuospaziali.
La scrittura coinvolge un insieme di abilità, che nel bambino disgrafico sono mancanti o carenti, con conseguentedifficoltà nell’apprendimento. Alcune volta questo disturbo si accompagna alla disprassia.
Fonte: Internet
E allora come aiutarli? Anche per i disgrafici ci sono supporti compensati. Eccone alcuni:
Quaderni per la disgrafia.
Per una corretta impugnare esistono appositi strumenti applicabili a qualunque penna o matita. Sono accessori ergonomici.
Matite ergonomiche.
Penne ergonomiche.
Videoscrittura, con l’ausilio del programma Word.
La disortografia: un disturbo specifico che coinvolge la correttezza della scrittura, cioè l’ortografia, quindi viene meno la capacità di rappresentare graficamente i suoni e le parole della propria lingua. Gli errori più comuni si evidenziano nell’ortografia, nella grammatica, nella morfologia e nella sintassi.
Fonte: Internet
Tra gli strumenti compensativi ci sono:
– Mappe concettuali, schemi e tabelle.
– Programmi di videoscrittura (come Word).
– Software speech-to-speech, cioè programmi che consentono di dettare al PC, ottenendo un testo scritto.
La discalculia:è un disturbo legato alle difficoltà nel calcolo matematico che si manifestano in età evolutiva.
Fonte: Internet
Alcuni strumenti compensativi sono:
Calcolatrice classica.
Calcolatrice parlante.
Tavola pitagorica.
Linea dei numeri.
Quaderni delle regole e delle formule.
Questa è solo una panoramica generale! Ci sarebbe molto ma molto da dire e da approfondire. Ma a cosa sono dovuti questi disturbi, se non sono legati all’intelligenza generale del soggetto? I disturbi specifici dell’apprendimento rientrano nella categoria dei disturbi di natura neurobiologica, dovuti ad una disfunzione del sistema nervoso centrale, che vanno a gravare su determinate aree dell’apprendimento e che si manifestano nella difficoltà di una lettura fluente e corretta, nello scrivere e nel fare i calcoli.Si possono definire “disturbi” nel momento in cui c’è una diagnosi clinica. Purtroppo però il più delle volte si confondono i disturbi con la disabilità, che sono due cose completamente diverse! E comunque in entrambi i casi bisogna essere inclusivi, affinché questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ma anche adulti, si sentano parte di un gruppo. La serenità e l’essere accettati sono elementi importanti per loro, perché aiutano il loro neurosistema. Certo sono anche dell’idea che non dobbiamo per forza andare alla ricerca di soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento, non dobbiamo per forza fare una “caccia alle streghe”, anzi bisogna fare molta attenzione, perché non è un gioco sottoporre un bambino o un ragazzo a visite specialistiche stressanti. Innanzitutto la delicatezza e le opportune attenzioni per capire che soggetto abbiamo davanti.
La passione del disegno è veramente insolita, soprattutto quando si tratta di un ragazzo che scrive per un giornaletto e passa il suo tempo anche a disegnare. Quel ragazzo sono io, Luca Cavone.
Ho sempre voluto disegnare, da quando ero un bambino a oggi. So anche dipingere, infatti lo facevo quasi sempre con mia nonna, ma ora mi dedico di più al disegno.
Mi ricordo che i miei nonni e i miei genitori mi compravano, e tuttora lo fanno, delle cassette piene di colori a pastello, a cera, delle penne per delineare i punti del corpo.
Mi piace rappresentare le mie emozioni e sentimenti in un solo disegno, un volto che per me esprime tutto ciò che mi sento dentro. In passato mi è capitato anche di disegnare in classe per sfogare tutto ciò che avevo dentro, ma appena mi sono accorto che mi distraevo ho smesso.
Ora cerco di migliorarmi sempre più, ispirandomi leggendo i manga (dei fumetti di origine giapponese) e seguendo tutorial su internet che spiegano come disegnare le varie parti delcorpo. Sarebbe bello anche frequentare un corso. Ultimamente, infatti, mi sto appassionando alle tecniche di disegno con gli strumenti tecnologici, anche se richiede pazienza e attenzione.
La nostra società si basa su stereotipi, uno di questi è il concetto di normalità: un’etichetta che fa riferimento a comportamenti, idee, caratteristiche che vengono definite o considerate “adeguate” e quindi giuste.
Oggi, a tredici anni, anche grazie alle esperienze vissute in questi tre anni di scuola media, posso affermare che la “diversità ” nel vestire, nel modo di essere o di vivere può essere ed è un valore.
Uno dei miei più cari amici è un ragazzo diversamente abile. Ho frequentato con lui la scuola materna, è autistico.
Ricordo quando aveva delle crisi e perdeva il controllo: non capivamo cosa gli accadesse, e non capire non aiuta mai, neppure quando si è piccoli.
Tutti noi abbiamo imparato, grazie alla sua maestra, al tempo e anche all’affetto che abbiamo ricevuto da lui, che quando aveva questi attacchi dovevamo stare in silenzio. Eravamo piccoli e non riuscivamo a capire bene il perché, eppure lo facevamo.
Di lui, però, non ricordo solo le crisi, ma anche la dolcezza, la bontà, la simpatia, l’ intelligenza e la straordinaria memoria: accipicchia come era a bravo a giocare con il Memory!!! E quanto ci siamo divertiti!
Ebbene, con il percorso che insieme ai miei compagni ho fatto in questi tre anni di scuola media, sono finalmente consapevole, e i comportamenti che adottavo senza comprenderne bene le ragioni, ora li adotto coscientemente: sono certa che qualunque “lui” entrasse a fare parte della nostra classe, del nostro gruppo di amici, noi saremmo in grado di accoglierlo senza apporgli etichette.
Del resto siamo tutti pieni di pregi e difetti, tutti diversi e al tempo stesso normali: la normalità di ciascuno è la vera normalità, e allo stesso tempo la perfezione!
Questo è il nostro slogan ed è proprio quello su cui abbiamo scelto di lavorare nel bellissimo progetto “Abbecedario della cittadinanza democratica”, al quale la nostra scuola ha partecipato insieme a molte altre scuole di Bari.
In fondo, come ha dichiarato l’attrice Whoopie Goldberg “il normale è negli occhi di chi ci guarda. Normale non è altro il nome di un ciclo su una lavatrice”.
L’incontro con il padre di Antonella è stato per tutti noi molto importante e commovente.
Io in particolare mi sono sentita molto coinvolta dalle cose che sono state dette, perché anche io sembro una ragazza molto forte, che tende a non parlare di sé con nessuno e a soffrire senza farlo notare né a mia madre, né ai miei amici, né ai professori, proprio per lo stesso motivo che ci ha spiegato il papà di Antonella: la paura di sentirsi un peso o di essere presi in giro.
Io, come Antonella, penso che non debba essere sempre chi soffre a chiedere aiuto, e vorrei che gli altri, quando vedono una persona che sta sempre in disparte o si isola dal gruppo, si avvicinino a lei, magari anche senza dire niente, solo per farle compagnia; perché posso assicurare che un gesto del genere, magari insignificante per gli altri, per chi soffre è tanto.
Forse molti pensano: “Sì, vabbè, ma quella è sempre felice e sorridente, quindi sta sicuramente bene” e per questo non chiedono mai “Come stai?” e non le stanno mai vicino, ma non sanno che questa persona in realtà soffre tanto e che il sorriso serve solo a mascherare ciò che prova realmente.
Dico questo perché io sono così e so che vuol dire non essere creduta da nessuno solo perché hai sempre il sorriso.
Vorrei dire ancora due cose.
La prima a chi soffre: non chiudetevi in voi stessi e parlatene con qualcuno, so di essere contraddittoria perché sono la prima che non riesce a farlo, ma non voglio che voi facciate il mio stesso errore.
La seconda a tutti gli altri: non giudicate mai una persona dalla “copertina” perché un sorriso sul volto non vuole dire stare bene.
quest’anno avresti compiuto diciotto anni, ma non è andata come previsto.
Succede di sentirsi abbandonata da tutti, di tentare di urlare senza mai essere ascoltata e compresa, di sentirsi come un pesce rosso in mezzo a tanti squali, di guardarsi allo specchio la mattina e piangere perché ‘non potrai mai essere come le altre’.
E’ capitato anche a me, sono addirittura passati nella mia mente brutti pensieri, ma mi è bastato ricordare che non sono sola in questo mondo e che per salvarsi basta avere la forza e la determinazione di cercare qualcuno in grado di aiutarci.
Cara Antonella, ormai ciò che è accaduto non può essere dimenticato, ma si può impedire che accada di nuovo. I tuoi genitori, dopo la tua morte, hanno fondato un’Associazione affinché noi ragazzi, studenti ma soprattutto esseri umani, con un cuore, con lacrime di gioia e di dolore e con le incertezze che ci assalgono, possiamo imparare a vedere la luce del sole tra le tenebre.
Non dobbiamo mai mollare la salda presa di chi è pronto ad aiutarci, quando siamo stanchi di lottare per qualcosa che ci sembra così lontana e difficile da raggiungere.
E’ in questo momento, proprio mentre stiamo per cadere giù dal dirupo, che dobbiamo mettercela tutta; perché la vita è troppo bella per cadere giù da un burrone.
So come ti sei sentita nel momento in cui lo hai fatto. Non riuscivi a trovare qualcuno che fosse disposto ad allungare la mano per dare un senso alla tua esistenza, o per lo meno eri convinta che nessuno ti avrebbe compresa.
Dovremmo imparare a tenere sempre l’orecchio in ascolto verso chi ha bisogno.
Così che le uniche cose a cadere dal dirupo saranno l’indifferenza e la cattiveria immotivata.
Come stai?
E’ la cosa che ci viene spesso chiesta, io per prima rispondo solo ‘bene’; perché temo che nessuno vorrebbe essermi amico se iniziassi a parlare dei miei problemi.
Sono la prima che, a volte, si sente diversa, non voluta, che prova ad assomigliare agli altri per non essere esclusa, che ha dimenticato com’è essere se stessa pur di non rimanere sola.
Non riesco a dire ad alta voce questi concetti e sono sicura di non essere l’unica, però mi dà conforto sapere di non essere sola. Questo mi aiuta ad andare avanti; sono certa che parlare con un amico o con un adulto verso il quale si nutre fiducia, serva.
Invito tutti a non tenere i propri problemi chiusi nella cassaforte dell’anima.
Ho visto un video un po’ di tempo fa che mostrava come, tenendo un bicchiere d’acqua in mano per qualche secondo non accadesse nulla; per qualche minuto, l’arto iniziava a fare male; per ore, il nostro braccio rimaneva paralizzato.
I problemi e le insicurezze che abbiamo dentro di noi sono come quel bicchiere d’acqua.
Non lasciamoci paralizzare dai nostri problemi.
Più li terremo dentro di noi più faranno male, fino a quando non sopporteremo più il dolore.
Impariamo a lasciare il nostro bicchiere in modo tale da lasciare andare anche la nostra sofferenza.
Il giorno 3 novembre la nostra classe ha incontrato il presidente e fondatore dell’Associazione “Antopaninabella”, Domenico Diacono. Questa associazione è dedicata a sua figlia Antonella, una ragazza che nel 2017 ha deciso di togliersi la vita. Antonella aveva un profilo Wattpad chiamato “Paninabella”, da qui il nome dell’associazione. In questo incontro, il padre di Antonella ci ha spiegato cosa dobbiamo fare quando ci sentiamo tristi, soli, non accettati… Infatti ci ha detto che l’unica soluzione è quella di parlarne con qualcuno che ci capisca, perché non sempre le persone si accorgono che noi stiamo male.
Anche lui- ci ha spiegato- non si era mai accorto del disagio della figlia perché lei, davanti a tutti, indossava una “maschera”. Antonella non aveva mai parlato di questo aspetto di lei con nessuno, neanche con i suoi genitori.
Antonella, però, nella sua ultima lettera scritta su Wattpad, ci ha lasciato un grande messaggio: non siamo mai soli, perché possiamo sempre trovare qualcuno disposto ad ascoltarci e ad aiutarci. Noi la ricorderemo e la ringrazieremo per questa sua lezione di vita il giorno 8 dicembre, che sarebbe stato il giorno del suo compleanno.
D’ora in poi, però, io mi propongo di attuare, ogni giorno, il suo insegnamento e ciò che ho imparato dalle parole del padre di Antonella: cercherò di essere più attenta ed empatica nei confronti degli altri e, quando avrò un momento di difficoltà, ne parlerò con le persone che so che potranno aiutarmi, se non a risolvere i miei problemi, quantomeno a sentirmi capita.
Nel mese di novembre abbiamo incontrato il Presidente dell’Associazione Antopaninabella nell’ambito di un progetto per la prevenzione del bullismo e cyberbullismo.
Il signor Domenico Diacono ci ha raccontato la storia di sua figlia Antonella, una bella ragazzina che alla mi stessa età, nel 2017, ha deciso di togliersi la vita.
Durante questo incontro, forte è stata l’emozione che ho provato, sia per la storia di Antonella sia per la forza d’animo che hanno avuto i genitori nel fondare questa associazione in nome della figlia per farsi promotori di un’iniziativa di supporto a noi ragazzi.
E’ stato un momento decisamente emozionante e che mi ha permesso di fare una serie di personali riflessioni.
Prima di tutto ho compreso meglio quanto possa essere importante parlare apertamente delle proprie angosce e tormenti.
Mi reputo fortunata, perchè ho accanto persone con le quali riesco liberamente a raccontare di me, delle mie giornate, dei miei momenti felici ed infelici.
Quando parlo, attorno a me non sento giudizi, incomprensioni, oppressione o timore, ma provo un grande senso di sollievo.
Mi sento accolta!
Trovando conforto e comprensione, quello stato di angoscia che mi opprime si alleggerisce.
Questa mia “fortuna” vorrei che la provassero tutti ed è per questo che spesso mi rendo disponibile per ascoltare i miei amici, sperando di essere loro di aiuto anche solo per il fatto di essermi interessata a loro, anche quando non so proprio come consigliarli.
Conoscevo di vista Antonella, perché per 3 anni ha frequentato il corso di teatro insieme a mia sorella Aurora. Era molto brava a recitare e forse per questo nessuno è riuscito a comprendere fino in fondo i suoi problemi e il suo disagio.
Devo riconoscere che tutti noi abbiamo paura di essere giudicati e spesso recitiamo e indossiamo una “maschera” per piacere agli altri e, quando non stiamo bene, ci teniamo tutto dentro, ma mi rendo conto che non è giusto trattenere e mascherare le proprie emozioni: non serve a farci stare meglio. Antonella non è riuscita ad avere un dialogo con i genitori o con i professori; io penso che esporre i suoi dubbi o i suoi pensieri, i problemi che stava vivendo, l’avrebbe aiutata ad affrontarli e superarli.
Io cerco sempre di confrontarmi con i miei genitori affinchè possano spiegarmi alcune situazioni che mi fanno stare male e penso che tutti dovremmo imparare a cercare il dialogo senza tenerci tutto dentro.
D’altra parte pure noi dobbiamo essere pronti ad ascoltare e accogliere gli amici che vediamo in difficoltà, mostrando loro tutte le nostre più affettuose attenzioni.